Il recente massacro avvenuto a Baghdad nella chiesa siro-cattolica di Nostra Signora della Salvezza ripropone il dramma dei cristiani in Iraq che, dopo la guerra voluta da Bush, vengono sistematicamente perseguitati e uccisi da fanatici religiosi o da delinquenti comuni. Qualche anno fa avevo elaborato un progetto per un documentario dal titolo Cristiani in Iraq. Il documentario non si riuscì a organizzare e adesso desidero pubblicare parte del materiale che avevo scritto a suo tempo e che, purtroppo, è ancora attuale.
La storia dei cristiani iracheni risale alla predicazione dell’apostolo Tommaso, ritenuto il fondatore del cristianesimo in Iraq. Le comunità cristiane più numerose si trovano a Baghdad, nelle città nel nord del Paese (Kirkuk, Irbil e Mosul), nonché nell’antica Ninive.
I cristiani in Iraq sono il 3% della popolazione e appartengono a diversi riti: assiro nestoriano, siro-cattolico e i siro-ortodosso. Di numero più ridotto sono gli armeni ortodossi. I cristiani hanno sempre avuto buone relazioni con la maggioranza musulmana nel Paese e in passato non si erano mai verificati episodi di violenza, discriminazione o intolleranza a livello sociale.
Durante l’ultimo conflitto in Iraq molti cristiani iracheni si sono rifugiati all’estero attendendo gli sviluppi della situazione con la speranza di rientrare in patria. Dopo la caduta del regime baathista, sono iniziate le violenze ai danni della comunità cristiana: donne assassinate per strada, uomini rapiti nelle loro case, parroci che continuano a ricevere minacce e intimidazioni telefoniche.
All’inizio si pensava che la tragica situazione del paese portasse ogni iracheno a desiderare un posto più sicuro e il patriarca caldeo Emmanuel III Delly assicurava che non si poteva parlare di una diaspora per la comunità cristiana locale. Molti cristiani sceglievano di andare al nord del paese nei loro villaggi d’origine, dove alcuni avevano ancora una casa o dei parenti. Partivano da Baghdad o da Bassora e si trattenevano per due settimane o un mese, aspettando che nelle loro città scendesse la tensione per poi ritornare e riprendere a lavorare. Altri cercavano riparo in Giordania, Turchia, Libano, oppure raggiungevano i parenti negli Usa e in Europa, ma senza chiedere asilo politico, cosa che avrebbe implicato l’impossibilità di tornare al paese di origine.
La situazione è andata sempre più peggiorando e nel 2007 si è avuta un’escalation di minacce, rapimenti, intimidazioni e assassini. Una delle città più colpite è Mosul, roccaforte sunnita, dove le famiglie cristiane rimaste subiscono minacce fisiche, sequestri di persona a scopo di lucro, nonché intimidazioni telefoniche in cui si chiede loro di pagare un contributo alla resistenza (sunnita), pena la vita. La comunità ogni volta è costretta a raccogliere somme ingenti che vanno a pesare su una situazione economica già ai limiti; per di più, senza avere la certezza di rivedere in vita i propri cari.
Nel mirino ci sono anche le chiese dove i parroci locali vivono sotto continua minaccia. A questo si aggiungono le difficoltà materiali: insicurezza nelle strade, mancanza di elettricità e di carburante, il freddo.
A causa di questa situazione il Patriarcato caldeo ha trasferito in Kurdistan il Babel College e il Seminario maggiore di San Pietro.
Nella provincia di Niniveh si teme che il prossimo bersaglio potrebbero essere proprio i villaggi cristiani della Piana, dove è del tutto assente la presenza ed il controllo delle forze statunitensi ed irachene.
Tra la crescente insicurezza e precarietà la decimata comunità cristiana continua a pregare per la pace, spesso in luoghi sotterranei e nascosti come i primi cristiani. Lo hanno fatto anche in occasione della Solennità dell’Assunta nella chiesa di Kirkuk gremita di fedeli caldei, dove l’arcivescovo mons. Louis Sako, ha celebrato la messa in occasione della festa, molto importante per la Chiesa caldea.
Seppure in dimensioni diverse, il dramma dei cristiani iracheni è lo stesso vissuto dai sunniti e dai curdi, come pure della maggioranza sciita. Le violenze settarie non cessano, come gli attentati alle moschee.
La storia dei cristiani iracheni risale alla predicazione dell’apostolo Tommaso, ritenuto il fondatore del cristianesimo in Iraq. Le comunità cristiane più numerose si trovano a Baghdad, nelle città nel nord del Paese (Kirkuk, Irbil e Mosul), nonché nell’antica Ninive.
I cristiani in Iraq sono il 3% della popolazione e appartengono a diversi riti: assiro nestoriano, siro-cattolico e i siro-ortodosso. Di numero più ridotto sono gli armeni ortodossi. I cristiani hanno sempre avuto buone relazioni con la maggioranza musulmana nel Paese e in passato non si erano mai verificati episodi di violenza, discriminazione o intolleranza a livello sociale.
Durante l’ultimo conflitto in Iraq molti cristiani iracheni si sono rifugiati all’estero attendendo gli sviluppi della situazione con la speranza di rientrare in patria. Dopo la caduta del regime baathista, sono iniziate le violenze ai danni della comunità cristiana: donne assassinate per strada, uomini rapiti nelle loro case, parroci che continuano a ricevere minacce e intimidazioni telefoniche.
All’inizio si pensava che la tragica situazione del paese portasse ogni iracheno a desiderare un posto più sicuro e il patriarca caldeo Emmanuel III Delly assicurava che non si poteva parlare di una diaspora per la comunità cristiana locale. Molti cristiani sceglievano di andare al nord del paese nei loro villaggi d’origine, dove alcuni avevano ancora una casa o dei parenti. Partivano da Baghdad o da Bassora e si trattenevano per due settimane o un mese, aspettando che nelle loro città scendesse la tensione per poi ritornare e riprendere a lavorare. Altri cercavano riparo in Giordania, Turchia, Libano, oppure raggiungevano i parenti negli Usa e in Europa, ma senza chiedere asilo politico, cosa che avrebbe implicato l’impossibilità di tornare al paese di origine.
La situazione è andata sempre più peggiorando e nel 2007 si è avuta un’escalation di minacce, rapimenti, intimidazioni e assassini. Una delle città più colpite è Mosul, roccaforte sunnita, dove le famiglie cristiane rimaste subiscono minacce fisiche, sequestri di persona a scopo di lucro, nonché intimidazioni telefoniche in cui si chiede loro di pagare un contributo alla resistenza (sunnita), pena la vita. La comunità ogni volta è costretta a raccogliere somme ingenti che vanno a pesare su una situazione economica già ai limiti; per di più, senza avere la certezza di rivedere in vita i propri cari.
Nel mirino ci sono anche le chiese dove i parroci locali vivono sotto continua minaccia. A questo si aggiungono le difficoltà materiali: insicurezza nelle strade, mancanza di elettricità e di carburante, il freddo.
A causa di questa situazione il Patriarcato caldeo ha trasferito in Kurdistan il Babel College e il Seminario maggiore di San Pietro.
Nella provincia di Niniveh si teme che il prossimo bersaglio potrebbero essere proprio i villaggi cristiani della Piana, dove è del tutto assente la presenza ed il controllo delle forze statunitensi ed irachene.
Tra la crescente insicurezza e precarietà la decimata comunità cristiana continua a pregare per la pace, spesso in luoghi sotterranei e nascosti come i primi cristiani. Lo hanno fatto anche in occasione della Solennità dell’Assunta nella chiesa di Kirkuk gremita di fedeli caldei, dove l’arcivescovo mons. Louis Sako, ha celebrato la messa in occasione della festa, molto importante per la Chiesa caldea.
Seppure in dimensioni diverse, il dramma dei cristiani iracheni è lo stesso vissuto dai sunniti e dai curdi, come pure della maggioranza sciita. Le violenze settarie non cessano, come gli attentati alle moschee.
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