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sabato 5 novembre 2011

Che cosa sono le nuvole?

Che cosa sono le nuvole? è un cortometraggio di Pier Paolo Pasolini del 1967. Fu inserito come terzo episodio nel film Capriccio all'italiana. Nel cast troviamo: Totò (una delle sue ultime apparizioni cinematografiche), Ninetto Davoli, Laura Betti, Franco Franchi, Ciccio Ingrassia, Adriana Asti e Domenico Modugno che recita cantando una canzone con lo stesso titolo del film e con parole di Pier Paolo Pasolini.

La trama è una rappresentazione dell'Otello di Shakespeare fatta da un gruppo di burattini in un piccolo teatro di periferia. Il film fu girato in una settimana e ripresenta la coppia Totò-Davoli dopo Uccellacci Uccellini. (1966) e La terra vista dalla luna (1967).


Cosa sono le nuvole
D. Modugno - P.P. Pasolini


Che io possa esser dannato / se non ti amo. / E se così non fosse / non capirei più niente. / Tutto il mio folle amore / lo soffia il cielo / lo soffia il cielo... così


Ah, ma l'erba soavemente delicata / di un profumo che dà gli spasimi / Ah, ah! Tu non fossi mai nata! / Tutto il mio folle amore / lo soffia il cielo / lo soffia il cielo... così


Il derubato che sorride / ruba qualcosa al ladro / ma il derubato che piange / ruba qualcosa a se stesso. / Perciò io vi dico / finché sorriderò / tu non sarai perduta.


Ma queste son parole / e non ho mai sentito / che un cuore, un cuore affranto / si cura con l'udito. / E tutto il mio folle amore / lo soffia il cielo / lo soffia il cielo... così.


http://cinemante.blogspot.com/2007/10/che-cosa-sono-le-nuvole-pier-paolo.html

domenica 7 novembre 2010

"Passione", un'occasione perduta

Ieri ho visto il film Passione di John Turturro al cinema Fiamma di Roma. Prima di tutto due parole sul locale. Oltre alla pessima organizzazione, ci sono stati venduti due biglietti relativi a posti laterali situati ben al di fuori dello schermo con una visione pertanto distorta. Inoltre la proiezione è stata costantemente disturbata dal forte rumore del proiettore. Invito a non andare nelle sale cinematografiche tipo questa, interessate solo a vendere più biglietti possibili a scapito della qualità.
Il film vuole raccontare Napoli attraverso la sua musica, progetto sempre interessante anche se poco originale. Il problema è che Turturro non racconta un bel niente, perdendosi in stereotipi da turista americano che trova tutto "molto pittoresco" e inserendo qualche immancabile immagine descrittiva del degrado cittadino per dare la solita nota di colore. Il film è un noioso e stucchevole mix di pubblicità alla Dolce e Gabbana, videoclip musicali e documentari alla History Channel. Se l'intento è quello di presentare la canzone napoletana a chi non la conosce (sopratutto in America), il risultato è ampiamente mancato e il neofita si farà una idea confusa e distorta. Se ricordo bene Turturro nel film parla di una città colorata di suoni. Questo sarebbe stato un'ottimo spunto narrativo, ma Turturro si perde in immagini più adatte a pubblicizzare profumi e biancheria intima.
L'aspetto decisamente interessante del lavoro è invece la riproposizione di alcuni capolavori musicali dal repertorio della canzone napoletana in una veste talvolta inedita e aggiornata. Chi, come me e la maggioranza del pubblico italiano, già conosce questi capolavori ha potuto apprezzare anche le proposte più innovative dove la musica evoca sensi e sentimenti di questa città dalle tante anime e culture. In particolare la versione di Peppe Barra della Tammurriata nera ha strappato l'applauso a scena aperta e da sola vale tutto il film, ma anche gli altri interpreti hanno fornito prove spesso di straordinaria intensità e bellezza. Il film si apre con la voce di Mina e si chiude con quella di Pino Daniele. Oltre il già citato Peppe Barra, vediamo esibirsi Spakka-Neapolis 55, Avion Travel, Misia, Pietra Montecorvino, Massimo Ranieri, Lina Sastri, M’Barka Ben Taleb, Angela Luce, Raiz, Fausto Cigliano, Fiorello, Fiorenza Calogero e Enzo Avitabile.

domenica 25 aprile 2010

solidarietà per Alfredo Gasponi

Documento di solidarietà al critico Alfredo Gasponi del Consiglio Accademico del Conservatorio “Licinio Refice” di Frosinone
Il Consiglio Accademico del Conservatorio "Licinio Refice" di Frosinone, in merito al recente pronunciamento di un tribunale competente, interpretando anche l'intenzione manifestata da numerosi docenti del nostro istituto, esprime la piena solidarietà nei confronti del prof. Alfredo Gasponi che per oltre venti anni è stato un apprezzato docente di storia della musica presso il nostro conservatorio. In tale funzione il prof. Gasponi ha sempre rilevato competenza ed equilibrio, qualità per le quali si è segnalato come critico musicale esternando da sempre, fra l'altro, nelle pagine de "Il Messagero" la sua più che lusinghiera considerazione della professionalità dell'orchestra di Santa Cecilia. Il Consiglio Accademico del Conservatorio di Frosinone si associa al documento del Collegio dei professori del Conservatorio "Santa Cecilia" di Roma, ribadendo l'esigenza di una piena affermazione del diritto alla libertà di stampa e di pensiero e autorizzando la massima diffusione del presente documento.
Foto dell'articolo del 9 marzo 1996 de "Il Messaggero" per il quale il critico Alfredo Gasponi è stato condannato in appello a risarcire l’Orchestra dell'Accademia di Santa Cecilia con una cifra di 486.000 euro per avere redatto un'intervista al direttore Wolfgang Sawallisch richiamata in prima pagina col titolo “A Santa Cecilia non sanno suonare”.

domenica 15 giugno 2008

Henry Mancini

Enrico Nicola (Henry) Mancini nacque a Cleveland in Ohio da una famiglia italo-americana. Il primo approccio con la musica avvenne tramite il padre che si suonava il flauto.
Nel 1942, terminate le scuole superiori, si iscrisse alla Juilliard School di New York, ma non potè completare gli studi, perché fu chiamato alle armi per la Seconda guerra mondiale.
Finita la guerra entrò nell’orchestra di Glenn Miller come arrangiatore e pianista.
Nel 1952 viene assunto nel dipartimento di musica degli Universal International Studios dove inizia la sua carriera di compositore di colonne sonore. Il primo successo furono le musiche per "The Glenn Miller story", per il quale ricevette la prima nominatrion agli Oscar. Ma i principali successi sono legati alla sua collaborazione con il regista Blake Edwards. Per "Colazione da Tiffany" del 1961 Mancini compose Moon River, uno dei suoi brani più famosi.
Mancini divenne famoso sopratutto per il tema della Pantera Rosa, scritto per i titoli di testa dell'omonimo film girato nel 1963. Il tema, così come il nome e il cartone animato di David DePatie e Fritz Freleng, compaiono in tutti i film della serie tranne che nel secondo "Uno sparo nel buio" musicato sempe da Mancini.

venerdì 23 maggio 2008

Audiografia (F-J)

John Fahey
America
1971
Fare Forward Voyagers 1973

Family
Music In A Doll’s House
1968
Family Entertainment 1969
Fearless 1971

Faust
Faust I 1971

Feelies
Crazy Rhythms 1980

Fleetwood Mac
Tusk
1979

Flock
The Flock 1969

Foetus
Hole
1984
Nail 1985
Gash 1995

Fugazi
Repeater
1990

Fugs
Fugs 1966

Peter Gabriel
Passion
1989

Galaxie 500
On Fire 1989

Genesis
Trespass 1970
Nursery Crime 1971
Selling England By The Pound 1973

Lisa Germano
Geek The Girl 1994

Grateful Dead
Anthem Of The Sun
1968
Aoxomoxoa 1969
Live/Dead 1969

Peter Green
The End Of The Game 1970

Gong
Flying Teapot - Radio Gnome Invisible 1973

Gun Club
Fire Of Love 1981

Woody Guthrie
Dusty Old Dust
Dust Bowl Refugee
Dust Bowl Disaster

Bill Haley
Rock Around The Clock

Hash Jar Tempo
Well Oiled
1997

Jon Hassell
Dream Theory In Malaya 1981
Vernal Equinox 1977

Hawkwind
Doremi Fasol Latido
1972

Jimy Hendrix
Are You Experienced
1967
Electric Ladyland 1969

Henry Cow
Unrest
1974
In Praise Of Learning 1975

High Tide
High Tide 2 1970

Husker Du
Zen Arcade 1984

Incredible String Band
Hangman's Beautiful Daughter
1968

Jefferson Airplane
Surrealistic Pillow
1967
After Bathing At Baxter's 1967
Crow of Creation 1968
Volunteers 1969

Jesus And Mary Chain
Psychocandy
1985

Jesus Lizard
Goat 1991

Jethro Tull
Stand Up 1969
Aqualung 1971

Janis Joplin
Cheap Thrills
1968
Pearl 1970

Joy Division
Unknown Pleasures
1979

martedì 18 marzo 2008

Storia del flauto - il novecento

dalla tesi di
Luca Lombardi
La parabola evolutiva del flauto nella letteratura orchestrale
Flauto (indirizzo orchestrale) - diploma accademico di II livello
Conservatorio "L. Refice" di Frosinone
Le componenti che caratterizzano il processo di rinnovata considerazione da parte dei compositori, per il Flauto traverso, che si attua tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, sono riconducibili alla crescente diffusione e affermazione del Flauto “Böhm”, con relative modifiche e miglioramenti, il quale offrì maggiore solidità tecnica e ricchezza sonora, e all’evoluzione, e conseguente trasformazione, dell’idioma tardoromantico in nuovi linguaggi Musicali.
In questi anni non solo si concluse il periodo del retaggio Classico – Romantico, ma si esaurì anche la concezione globale di tonalità come i secoli passati l’avevano intesa.

Con “Prelude a l’apres-midi d’un Faune” di Debussy nel 1894 si apre una nuova stagione nel corso della storia della Musica, ed è grazie a questo brano che il Flauto torna a collocarsi, dopo quasi un secolo di vita tormentata e di scarsa considerazione da parte dei compositori, in una posizione di primissimo piano, come si potrà verificare dalla continua evoluzione e dai successivi consensi che verranno ottenuti nei decenni successivi.
L’importanza simbolica del “Prelude” di Debussy per l’inizio del Novecento Flautistico consiste nel portare metaforicamente sulla scena il Flauto come nuovo protagonista capace di emergere in quanto strumento concertante e nonostante la tessitura spesso grave, anche su un’Orchestra di dimensioni tardoromantiche.
Associare poi il Flauto con una figura dionisiaca come Pan influenzerà fortemente molti compositori legati all’Impressionismo: cambia ed arricchisce il ruolo immaginario dello strumento, da sempre legato solo a temi apollinei, e gli riconosce una potenzialità solistica che il Romanticismo non gli riconosceva.
Anche Ravel è da citare per l’importanza data allo strumento in “Daphnis e Chloè”, balletto rappresentato nel 1912.
Il Tema pastorale con i protagonisti che mimano, in segno di ringraziamento, l’avventura di Syrinx e Pan (che ha sottratto Chloè ai pirati) prima di festeggiare il proprio fidanzamento, non può ovviamente trascurare il Flauto, ma solo arricchirne l’importanza: e così oltre alla ricchezza di numerosi passi e soli in cui il Flauto descrive, specie nella terza parte del balletto, con il suo timbro il mondo bucolico, va registrato anche il particolare organico che presenta, oltre ai due Flauti in Do ed all’ottavino, il Flauto contralto in Sol.
Proprio il mondo del balletto univa in quel periodo Ravel a Stravinsky giunto a Parigi nell’ambito dei Ballets Russes di Sergei Djagilev; e a “Daphnis et Chloè” segue nel 1913 “Le Sacre du Printemps”, la grande Partitura del maestro russo nella quale la famiglia dei Flauti si arricchisce ancor più nell’organico Orchestrale prevedendo un ottavino, tre Flauti in Do e nuovamente un Flauto in Sol.
Nel primo decennio del ‘900 si verificarono anche i primi esperimenti moderni nell’uso dei microtoni e in altre divisioni non tradizionali dell’ottava.
Una curiosità è costituita anche da esperimenti quali la realizzazione di una Sordina per il Flauto ad opera del costruttore italo svizzero Abelardo Albisi, accessorio però mai entrato nell’uso comune.
Albisi contribuì all’ulteriore sviluppo dello strumento con la sperimentazione e l’invenzione di diversi prototipi tra i quali il noto Albisiphon (1910) un flauto baritono-basso progettato in diverse taglie.
Il periodo tra il 1900 e il 1920 fu animato da diversi movimenti, tra loro separati e decisamente indipendenti, senza che vi fosse alcun riferimento centrale, riconosciuto a livello generale.
Tutti questi movimenti furono però attraversati dalla ferma tendenza verso la dissoluzione della tonalità classica, una tendenza che era già stata percepita in Schubert e in Chopin, continuata da Liszt e da Wagner, accentuata dagli esperimenti armonici di Musorgsky, Mahler, Strass, Faurè, Debussy e Ravel, e che a un certo punto culminò nei lavori, precedenti al conflitto mondiale, di Skrjabin, Ives, Schönberg e Stravinsky.
Il cromatismo, accordi complessi e inconsueti, il canto popolare nazionale, l’esotismo, la modalità, l’uso dalla scala pentatonica, della scala per toni interi e di altre scale non classiche, le correnti di accordi e la politonalità: tutti questi elementi entrarono a far parte delle nuove ricerche.
I compositori della prima metà del XX secolo furono occupati in larga misura dall’elaborazione dei nuovi concetti di tonalità, o nel tentativo di trovare un’adeguata alternativa alla stessa, e nella conciliazione degli altri elementi Musicali come la strumentazione, il contrappunto, il ritmo e la forma con i nuovi idiomi armonici.
Questa ricerca sistematica troverà la piena applicazione nell’ambito dei corsi estivi di Darmstadt, i quali a partire del 1946, apriranno ufficialmente e definitivamente la strada alla “Nuova Musica”.
Il Flauto a Darmstadt ha un ruolo da protagonista e praticamente tutti i grandi compositori del periodo scrivono pezzi per Flauto, grazie anche alla grande figura ispiratrice di Severino Gazzelloni.

Storia del flauto - il periodo romantico

dalla tesi di
Luca Lombardi
La parabola evolutiva del flauto nella letteratura orchestrale
Flauto (indirizzo orchestrale) - diploma accademico di II livello
Conservatorio "L. Refice" di Frosinone
Nel 1831 il flautista compositore e costruttore monacense Theobald Böhm, padre del Flauto attualmente in uso, inizio ad elaborare un sistema di chiavi che trovò applicazione stabile nel Flauto e nel Clarinetto e che venne, pur senza successo duraturo, anche nell’Oboe e nel Fagotto.
L’Opera di Böhm costituisce in questo senso un’accelerazione nel processo di sperimentazione ed innovazione degli Strumenti a fiato, che porterà anche a concepirne alcuni totalmente nuovi, come il caso eclatante del Sassofono di Adolphe Sax.
Rispetto agli altri Legni il Flauto subirà nel 1847, di nuovo per opera di Böhm, un mutamento ancor più sostanziale, passando da una struttura del tubo prevalentemente conica ad una prevalentemente cilindrica, in tutto simile a quella oggi universalmente in uso.
All’inizio del Romanticismo nasce una nuova consapevolezza del trattamento degli Strumenti, che si concretizza nelle discipline dell’Orchestrazione e della Strumentazione.
A questo fine vengono studiate le soluzioni Orchestrali dei Maestri del passato.
I trattati francesi, per esempio, citano a più riprese passi dal loro repertorio classico settecentesco.
Questa sensibilità porta a considerare l’espressività dei Legni non più isolatamente, come avveniva nel Barocco con l’assegnare a ciascuno specifici “affetti”, né soltanto come organico insieme coloristico dell’Orchestra sinfonica, né infine come blocco sonoro contrapposto agli Archi, secondo la lezione di Beethoven, ma ne esplora molte altre varianti, sia come sovrapposizioni timbriche all’unisono (Flauto ed Oboe), all’8° (Flauto, Oboe e Clarinetto) e doppia 8° (Flauto e Fagotto), sia come rispettivo intreccio melodico contrappuntale (come per esempio la condotta dei Legni nelle Sinfonie di Brahms).
Vi è pertanto una grande varietà di soluzioni ed il Flauto, nella fattispecie, non è più costantemente ai vertici della Partitura, venendo utilizzato in tutta la tessitura ed in molte nuove soluzioni che ne esplorano e allargano l’estremo confine della sua gamma e del suo potenziale espressivo.

Il Flauto fu il primo tra i Legni a sviluppare una foratura laterale cromatica con relativa meccanica di controllo in grado di rendere omogenei tutti i suoni.
Ora, però, non si trattava più solo di creare omogeneità sonora, ma di sviluppare un’equivalente agilità tecnica in tutte le tonalità.
In Orchestra un altro importante momento per gli Strumenti a fiato è la verifica del loro equilibrio sonoro e la loro duttilità timbrica che vengono giudicate in relazione all’impasto generale e con gli altri Legni.
L’Orchestra romantica viene potenziata sia nella composizione dell’organico sia nel volume sonoro dei singoli Strumenti; ciò anche per adeguarsi alle nuove, ampie sale da Concerto, aperte ad un pubblico ben più numeroso del passato.
Il Flauto aveva iniziato a tradire una certa debolezza sonora in Orchestra già nel secondo Settecento, l’apertura dei fori semitonali e l’ampliamento del foro d’imboccatura avevano la finalità di rendere omogenea la gamma dei suoni e di aumentarne il volume.
Il Flauto cilindrico di Böhm (1847) sarà lo strumento più potente a disposizione degli esecutori, ma la sua struttura cambia sensibilmente il timbro dello strumento e alcune scuole e Orchestre sono da principio alquanto restie ad accettarlo.
In Germania, per esempio, esso sarà generalmente accolto soltanto quando la stagione della Musica propriamente romantica si sarà conclusa e altri stili e atmosfere ne avranno dimostrato le alte potenzialità tecniche nella tessitura estrema o ne avranno valorizzato proprio quel colore precedentemente rifiutato.
Se nel repertorio solistico maggiore dell’epoca romantica il Flauto non ha una rilevanza da protagonista, come avviene invece nel caso del pianoforte e degli Archi, diversa considerazione mostrarono i grandi compositori per il ruolo del Flauto in Orchestra, come dimostrano i tanto episodi e i “soli” che punteggiano il repertorio lirico e sinfonico.
Il Flauto è abitualmente al vertice del pieno Orchestrale (ora a fianco della coppia di Flauti c’è quasi stabilmente l’Ottavino), spesso all’unisono con i primi Violini, ma molte altre sono le soluzioni del suo impiego: è normalmente usato nella tessitura medio acuta, la più incisiva,
arrivando normalmente al Do della 4° ottava (Brahms: Sinfonie e Variazioni su un Tema di Haydn) e tra XIX e XX sec. raggiunge eccezionalmente il Do# ed il Re della 4° ottava (es: Poemi sinfonici di Richard Strauss).
Il registro grave viene esplorato con maggiore assiduità nel secondo ‘800 quale segno di una più attenta analisi coloristica orchestrale del tardo Romanticismo (Brahms solo della Sinfonia n°4 op.98, episodi in Sinfonie di Mahler ed in Richard Strauss).
In contrappunti di sonorità miste il Flauto emerge isolatamente a proporre, a ricordare il Tema o a suggerire in secondo piano i controsogetti (Brahms, 1° mov. della Sinfonia n°1 op.68).
Al Flauto si affidano pedali nell’acuto, cadenze delicate (Schumann: Sinfonia n°1 op.38, Rimskij-Korsakov: Sherazade), Preludi solistici con l’Arpa (Bizet: Carmen - Preludio al 3° atto) o sopra un sommesso sottofondo degli Archi con sordina (Verdi: Preludio al 3° atto dell’Aida); il Flauto irrompe nel pieno Orchestrale con corse brillanti e a perdifiato (Mendelssohn: Scherzo del Sogno di una Notte di mezz’estate op.61).
Secondo uno stilema “rossiniano” del primo ‘800, il Flauto accompagna il canto con arpeggi mentre più tardi si useranno i tremoli (Verdi e Meyerbeer).
Il “Tremolo” rappresenta una novità assoluta ed in taluni momenti diviene una vera e propria moda compositiva.
Rossini fa spesso emergere i Fiati isolati prima di sovrapporli nei finali delle sue Sinfonie operistiche e talvolta scrive pe i Legni parti da primadonna: per il Flauto sono noti, per esempio, i soli del “Viaggio a Reims” e del “Guglielmo Tell”.
Donizetti e Bellini, invece, sono soliti scrivere soli in preludi al canto facendo dialogare lo strumento con la voce senza mai eccedere in coloriture strumentali.
Esempi Flautistici sono la celebre scena della pazzia della “Lucia di Lammermoor” e l’aria “Casta Diva” di “Norma”.
Sono riconducibili al periodo anche le tecniche del “Frullato” e dei doppi suoni, ma nessuna delle due venne utilizzata con sollecitudine nella Musica sinfonica e lirica.

Storia del flauto - il periodo classico

dalla tesi di
Luca Lombardi
La parabola evolutiva del flauto nella letteratura orchestrale
Flauto (indirizzo orchestrale) - diploma accademico di II livello
Conservatorio "L. Refice" di Frosinone
Un’impronta di notevole importanza viene data al Flauto classico dai cambiamenti nella composizione e nella scrittura Orchestrale.
Nell’Orchestra classica, i Fiati non introducono o rappresentano più specifici “affetti” ma vengono integrati nel colore sinfonico dell’insieme.
Fatta eccezione per i Flauti dolci, definitivamente esclusi ed in rapida scomparsa nella Musica colta, e delle Trombe, aggiunte con i Timpani a sostegno solenne del Tutti Orchestrale, coppie di Flauti traversi, Oboi, Corni, Fagotti e poi anche di Clarinetti formano ora una costante dell’Orchestra: una sezione di colori che crea timbri stratificati e chiaroscurali, che conduce linee melodiche in contrappunto con gli Archi o tra loro stessi, che sostiene le armonie, che rinforza i Bassi o che si alterna agli Archi in blocchi sonori contrapposti, secondo quella che sarà la lezione beethoveniana.
I Flauti trovano posto autonomo in Orchestra nel tardo Settecento (nei primi del secolo lo avevano solo nelle Orchestre di Parigi, Dresda e Berlino).
Nell’Orchestra classica, il Flauto è posto costantemente al vertice della Partitura, spesso in funzione di raddoppio dei Violini I, talvolta all’8° superiore di questi o di altri Strumenti.
Che l’Orchestra classica fosse un organico compatto lo dimostra il trattamento della dinamica, che non è più ottenuta secondo il principio barocco dell’aggiunta o della sottrazione di Strumenti, ma come somma della dinamica di ciascun strumento.
Proprio per esaltare questo effetto, agli Strumenti viene richiesta maggiore duttilità e sonorità.
Anche nel Concerto solistico e nel nuovo genere della Sinfonia concertante l’Orchestra d’accompagnamento rimane completa e compatta con tutti i suoi Fiati; ciò si osserva anche nel Concerto per Flauto che, pur rimanendo il più debole di tutti i Fiati, è incalzato da un organico d’accompagnamento più numeroso e dinamico che in passato, con Oboi e Corni.
Nel nuovo rapporto con la compagine Orchestrale e con la sonorità degli altri Fiati, il Flauto sviluppa sostanziali cambiamenti nel volume sonoro e nel timbro, originati dall’esigenza di farsi sentire, soprattutto nel registro grave.
Per capire meglio l’impiego Orchestrale del Flauto è utile prendere ad esempio alcune opere dei maggiori compositori del periodo.
Nelle prime Sinfonie di Haydn il Flauto è raramente presente mentre comincia ad apparire regolarmente dopo il 1780.
L'estensione è inoltre dapprima limitata al registro medio mentre nelle ultime Sinfonie come “Militare” (n°100 in Sol mag. “Militare”), la gamma si estende fino al Sol della 3° ottava.
Anche in Mozart il Flauto diviene importante nel gioco della polifonia nelle ultime Sinfonie.
Va infine osservata l’importanza assegnata da Beethoven al Flauto nell’organico orchestrale dove è presente in tutte le 9 Sinfonie - un Flauto singolo nella n°4 op.60, due Flauti in tutte le altre a cui va aggiunto l’Ottavino presente nella n°5 op.67, n°6 op.68 e n°9 op.125 – ed utilizzato con un’estensione sempre maggiore ed è chiamato all’esecuzione di importanti Passi e “Soli” tra i quali vanno ricordati: Leonora III op.72a, Sinfonia n°3 in Mib mag. op.55 “Eroica” (in particolare il “Solo” del 4° mov.), Sinfonia n°6 in Fa mag. op.68 (2° mov.), Sinfonia n°7 in La mag. op.92 (1° mov.: attacco del Vivace), e Sinfonia n°9 in re min. op.125 (2° mov.).

Storia del flauto - il periodo barocco

dalla tesi di
Luca Lombardi
La parabola evolutiva del flauto nella letteratura orchestrale
Flauto (indirizzo orchestrale) - diploma accademico di II livello
Conservatorio "L. Refice" di Frosinone
Dopo il suo esordio nell’organico Orchestrale operistico il Flauto venne utilizzato nel corso del periodo Barocco sempre più spesso anche nella Musica prettamente strumentale.
Il generale cambiamento della scrittura, delle forme e dei generi Musicali che avvenne nel Seicento influenzò in maniera crescente la produzione, la fattura e l’impiego dei Fiati.
Gli Strumenti dovevano corrispondere al nuovo stile in flessibilità dinamica ed espressività, secondo un gusto del tutto nuovo, ricco di sfumature o di repentini contrasti.
Il ruolo preminente svolto dall’Orchestra d’Archi costituitasi nel XVII sec. generò una selezione nel campo dei Fiati.
Una qualità consapevolmente ricercata nel suono dei Legni barocchi fu infatti la buona disposizione a fondersi con il timbro degli Archi.
Se la fattura rinascimentale propendeva per timbri ben distinti, chiari e penetranti, adatti a differenziare le linee melodiche della polifonia, la fattura barocca privilegiava timbri relativamente scuri e morbidi con buona disposizione all’impasto coloristico.
Nelle Orchestre d’Opera e di Musica Sacra, la funzione del Flauto ( e degli altri Fiati ) fu quella di introdurre o di sottolineare e ampliare determinati “affetti” rappresentati sulla scena o suscitati dal testo sacro.
Si trattò in genere di episodi lasciati interamente ai Fiati, come nelle danze “en Trio” presenti nelle opere di Lully, sia di arie con uno o più Strumenti “obbligati” insieme alle voci.
Per quanto riguarda invece la Musica prettamente Orchestrale verso la fine del ‘600 si cominciò a distinguere lo stile della Musica da Camera da quello della Musica per Orchestra, cioè tra un insieme Musicale dove ogni parte era suonata da un solo strumento, e un insieme dove ogni parte era suonata da più Strumenti.
In gran parte dei lavori per gruppi strumentali del XVII sec. non erano chiare le preferenze del compositore a questo proposito.
L’espressione degli “affetti” fu una delle principali finalità dell’estetica barocca.
Essa era presente anche nella Musica strumentale.
Gli “affetti” venivano suscitati e placati da precisi elementi compositivi (scelta della tonalità, generale andamento ritmico e melodico, quantità e tipo di dissonanze, cromatismi, eccetera ), così come dalla scelta del timbro degli Strumenti.
Perciò i Fiati barocchi, oltre che per la qualità di impasto con gli Archi, trovarono una collocazione Orchestrale anche come interpreti di riferimento di ben determinate categorie di “affetti”.
In Orchestra il Violino fu lo strumento più versatile e flessibile in questa funzione espressiva, mentre i Fiati furono usati in modo più specifico e piuttosto rigido, sviluppando maggiore libertà solo nel loro repertorio solistico.
Nell’ultimo ventennio del XVII sec. apparve un nuovo tipo di composizione, il Concerto, che diventò il genere più importante di Musica Orchestrale Barocco dopo il 1700.
Il Concerto era una sintesi, esclusivamente strumentale, di quattro pratiche barocche fondamentali; il principio del “Concertato”, la struttura composta di un Basso solido e di una parte acuta fiorita, un’organizzazione Musicale basata sul sistema maggiore-minore e la costruzione di un lungo brano elaborato in movimenti autonomi separati.
Intorno al 1700, si scrivevano Concerti di tre generi diversi.
Il Concerto Orchestrale (detto anche Concerto-Sinfonia) era un semplice brano in diversi movimenti in uno stile che metteva in risalto la parte del primo Violino e del Basso e di solito evitava la più complessa struttura contrappuntistica tipica della Sonata e della Sinfonia.
Ma in questo periodo erano più frequenti e importanti le altre due forme di Concerto, il Concerto grosso e il Concerto solista, entrambi i quali presentavano di norma sonorità contrastanti: un piccolo gruppo di Strumenti solisti nel Concerto Grosso, un singolo strumento nel Concerto solista, si contrapponevano alla restante massa orchestrale.
Uno dei più grandi compositori del genere è Antonio Vivaldi che ne scrisse più di 600.
Per quanto riguarda più specificatamente il Flauto oltre ai concerti solistici possiamo citare il Concerto in Fa maggiore “La Tempesta di Mare” per Flauto, Oboe, Fagotto, Archi e Basso continuo RV570 ed il Concerto in Fa maggiore “Il Proteo o sia il Mondo al rovescio” per Violino, Violoncello, due Flauti, due Oboi, Archi e Basso continuo RV572.
Proseguendo nel percorso Flautistico barocco non possiamo non prendere in esame l’Opera di Johann Sebastian Bach.
Sebbene l’Opera per Flauto finisca per risultare secondaria nell’ambito della complessa produzione bachiana, non possiamo non riconoscere e non rintracciare anche in essa quel percorso fatto di felice ispirazione e magica inventiva ed allo stesso tempo di abile razionalità costruttiva, sintesi barocca di una ricerca non solo Musicale ma anche esistenziale che porta Bach dalla speculazione empirica e scientifica della nova armonia “ben temperata” fino alla tensione dell’individuo verso la comunione con Dio: SDG (Soli Deo Gloria) è infatti il motto con il quale egli amava concludere le proprie fatiche.
Ad avvalorare la tesi circa l’interesse di Bach per il Flauto traverso vi è anche la composizione dei Concerti Brandeburghesi ed in particolare del n°5 in Re mag. BWV1050 strumentato per Flauto traverso, Violino principale, Cembalo concertato, Violino in ripieno, Viola in ripieno, Violoncello e Violone.
Il primo movimento del Concerto n°5 registra, forse per la prima volta, la presenza di un Flauto traverso “concertante” nell’ambito di una seppur ridotta compagine e forma Orchestrale.
E Bach concede al Flauto uno spazio ancora più privilegiato nell’Ouverture in Si min. BWV1067 nella quale, accompagnato dagli Archi e dal Cembalo, si propone come strumento guida dell’intero brano.
Che Bach provasse un autentico interesse per le qualità espressive del Flauto è dimostrato, più ancora che dalla Musica strumentale, dalla importante presenza dei Flauti nella sua Musica sacra.
Nelle Passioni, nelle Messe e nelle numerose Cantate con Arie con Flauto “obbligato”, lo strumento ha la funzione di amplificare gli “affetti” indotti dai testi sacri.
Bach scelse il Flauto per la giocosa fioritura che accompagna “Was Gott tut, das ist wohlgetan” (BWV100) e la baldanzosa gioia nella lode a Dio in “Herr Gott, dich loben alle wir” (BWV130) e “Schmucke dich, o liebe Seele” (BWV180); ma anche per l’eterea atmosfera di “Esurientes implevit bonis” (Magnificat in Re mag. BWV243), con due Flauti nella tessitura medio-acuta di Mi mag., o per la struggente dolcezza di “Aus Liebe will mein Heiland streben” (Passione secondo S.Matteo BWV244), insieme a due Oboi da caccia, di “Qui tollis peccata mundi” (Messa in La mag. BWV234), in cui due Flauti ritmano la tensione con le reciproche dissonanze, fino al tragico “scorrere delle lacrime” di Maria in “Zerfliβe, mein Herze” (Passione secondo S.Giovanni), dove la opaca tonalità di Fa min., assieme al suono “chiuso” dell’Oboe da caccia, contribuiscono all’atmosfera d’intimo dolore.
La vivacità culturale e Musicale dell’ambiente berlinese e in particolare del centro di Mannheim costituiscono il ponte di passaggio dal tardo Barocco allo stile Classico.
Questo periodo intermedio, che va più o meno dal 1730/40 al 1770/80, offre un quadro particolarmente ricco di figure ed elementi interessanti secondo tre percorsi principali: l’agile e brillante “Stile Galante” (rappresentato da Johann Cristian Bach); il più intenso “Stile Sensibile” (il cui principale esponente sarà Carl Philipp Emmanuel Bach); il tardo Barocco dai tratti maggiormente legati alla tradizione ed alla conservazione (come in diversi compositori dell’ambiente berlinese).
Mannheim diviene un centro Musicale prestigioso, mantenendo un ruolo dominante fino a fine secolo.
Vi giungono musicisti da tutta Europa e la città diviene in questo modo fucina di nuove esperienze stilistiche.
Sotto la guida di Johann Stamitz l’Orchestra di Mannheim diventò famosa in tutta Europa per i suoi virtuosismi, per la sua strutturazione organica ben definita (con un numero identico di Violini I e Violini II) per la sua fino ad allora sconosciuta estensione dinamica che spaziava dai più delicati “pianissimo” ai più sonori “fortissimo” e per il suono penetrante dei suoi crescendo.
A Mannheim il Flauto, insieme agli altri Fiati, acquisterà una sua particolare dignità, anche nell’ambito dell’Orchestra, nella quale gli Strumenti a fiato sostengono, colmano e animano la sezione degli Archi, mentre la presenza a corte di numerosi virtuosi contribuirà alla fiorente stesura di un patrimonio solistico dai nuovi tratti.

Storia del flauto - le origini

dalla tesi di
Luca Lombardi
La parabola evolutiva del flauto nella letteratura orchestrale
Flauto (indirizzo orchestrale) - diploma accademico di II livello
Conservatorio "L. Refice" di Frosinone
Il Flauto è uno degli Strumenti Musicali più antichi usati dall’uomo.
Sia i Sumeri che gli Egizi suonavano Flauti diritti.
Gli Strumenti egiziani più antichi risalgono al III millennio a.c. e raffigurazioni di Flauti obliqui (una specie di Flauti diritti suonati appunto diagonalmente) compaiono nei bassorilievi di alcune tombe della V dinastia (2600 a.c.).
Inoltre in quasi tutto il mondo antico esistevano Flauti globulari (costituiti da un recipiente chiuso di forma ovoidale, in origine gusci di cocco o di zucca, presenti in Egitto, Cina, America e in Ungheria dall’età del bronzo), Whistle Flutes (Flauti ad imboccatura indiretta, insufflati attraverso uno stretto canale ottenuto tappando parzialmente la sommità della canna con una zeppa) e Flauti di Pan (composti da una serie di tubi di differente lunghezza per ottenere suoni di altezze diverse, diffusi in Estremo Oriente, Sud America, Grecia e Italia a partire dal VI secolo a.c.).
Probabilmente Flauti derivati dalle ossa degli animali erano stati usati ancor prima, fin dal Paleolitico.
Per quanto riguarda invece espressamente il Flauto traverso, le sue origini vanno ricercate probabilmente nell’Asia Centrale, mentre la prima testimonianza scritta della sua esistenza si trova in un libro di poesia Cinese, il SHE KING, risalente al IX secolo a.c. nel quale viene citato il CH’IH, poi descritto nelle fonti medievali come un Flauto con un foro d’imboccatura e quindi traverso.
Il Flauto traverso compare inoltre sui rilievi del tempio di Sanchi in India (I secolo a.c.) e investito di una funzione religiosa è forse il più importante strumento a fiato Indiano.
Infine esistono, sebbene molto raramente, rappresentazioni di Flauti traversi nelle suppellettili del mondo Greco-Romano.
Tra queste testimonianze vanno ricordate:
- una statuetta con un suonatore di Flauto traverso del periodo Greco-Romano in Egitto;
- alcuni resti di uno strumento romano ricavato da ossa di animali ora a Lipsia;
- due resti in scavi Etruschi risalenti al III e al II secolo a.c. quest’ultimo, noto come “urna del Flautista” (Perugia, Sepolcro dei Volumni) in quanto lo scultore ha rappresentato in rilievo la testa di un musicista che suona un Flauto traverso, costituisce la più antica rappresentazione del Flauto traverso.
Queste informazioni frammentarie non ci permettono comunque una completa conoscenza della modalità di diffusione dello strumento nel mondo antico, in particolare in Europa. Inoltre il Flauto traverso scompare dalle opere d’arte dell’occidente dopo la caduta dell’Impero Romano e comincerà a riapparire in Europa solo nel X e XI secolo.
Visto tale enorme intervallo di tempo, l’ipotesi più probabile è che lo strumento sia stato reintrodotto in Europa attraverso la Germania da Bisanzio, e non dall’Etruria o da Roma.
Infatti il Flauto traverso appare in molti oggetti artistici Bizantini del X e XI secolo quali manoscritti, affreschi e cofanetti d’avorio, mentre le prime rappresentazioni Europee provengono dai paesi Tedeschi.
Le prime fonti sicure sull’uso effettivo del Flauto traverso nella Musica occidentale sono offerte dalle miniature del manoscritto “Manesse”, pregevole raccolta di canti Minnesanger risalente agli inizi del XIV secolo.
Durante il XIV secolo lo strumento cominciò a fare la sua comparsa anche nei paesi dell’area non tedesca, come si può dedurre da uno dei manoscritti più riccamente illustrati delle “Cantigas de Santa Maria”, l’antologia di canti monodici eseguiti alla corte di Re Alfonso X, risalente alla fine del XIII o inizi del XIV secolo e da alcuni manoscritti di area Francese, dello stesso periodo, quali “Il Breviario Belleville” e il “Libro delle Ore”.
A partire dalla fine del XV e lungo tutto il XVI secolo, i Flauti traversi compaiono frequentemente in diversi dipinti nell’Europa Occidentale e sono elencati e descritti da parecchie fonti scritte, sia letterarie che Musicali.
Evidentemente si erano affermati quali facenti parte dello strumentario per le esecuzioni di corte di ogni genere. Ben poco si sa sulla costruzione del Flauto traverso medievale, o ad esempio sulle misure o sull’intonazione.
Ma da quanto si può dedurre dalle fonti iconografiche il Flauto precedente al 1500 era all’incirca simile a quello del XVI secolo cioè consisteva in un semplice tubo cilindrico in un solo pezzo, con un foro per l’immissione e sei fori per le dita, in alcuni casi raggruppati a tre a tre.
I Flauti traversi sono inoltre descritti e disegnati in numerosi trattati dell’epoca, come nel “Musica Getutscht und ausgezogen” di Sebastian Virdung o nel trattato “Musica Istrumentalis Deudsch” di Martin Agricola, dove viene introdotto per la prima volta il concetto di vibrato quale indicazione di prassi esecutiva atto a valorizzare meglio le caratteristiche dello strumento.
La crescente popolarità del Flauto traverso contribuì anche al suo sviluppo tecnico-costruttivo portando alla creazione di numerosi modelli di Flauto creati appositamente per soddisfare le varie esigenze Musicali.
Se durante il Rinascimento il Flauto era ormai usato comunemente nella Musica di corte all’interno di piccoli ensemble fu nel periodo Barocco che divenne parte integrante dell’Orchestra.

mercoledì 5 marzo 2008

Edgar Varèse

Edgar Varèse (Parigi, 1883 - New York, 1965) è un compositore francese naturalizzato statunitense. Si dedicò alla musica dopo avere interrotto i suoi studi scientifici. Negli Stati Uniti si allontana progressivamente dagli ambienti musicali per entrare in contatto con scienziati, tecnici e inventori, grazie al lavoro dei quali abbandona le basi tradizionali della musica.
Fu uno dei pionieri della musica elettronica con Poème Electronique (1957-58) composto per il padiglione Philips in occasione Exposition Universelle di Bruxelles del 1958.
Una delle sue composizioni più rappresentative e innovative è Ionisation (1929/31), un brano di sei minuti basato ispirato dal traffico nelle strade di New York. Presenta un organico composto da 41 strumenti a percussione divisi tra membranofoni, metallofoni, idiofoni a frizione, a scuotimento, sirene e un pianoforte utilizzato soltanto per produrre cluster nel registro grave. Il brano è formato da brevi combinazioni ritmiche (Idee Fixes) e da episodi costruiti su contrasti ritmico-timbrici.

domenica 2 marzo 2008

Theremin

Il Theremin è stato inventato dal fisico russo Lev Termen (in seguito anglicizzato in Theremin) intorno al 1920 e può essere considerato uno dei primi strumenti musicali elettronici.
La sua principale particolarità è che si suona senza toccarlo. È composto da due antenne poste sopra e a lato di un contenitore nel quale è alloggiata l’elettronica. Il controllo avviene allontanando e avvicinando le mani alle antenne; mediante quella superiore si controlla l’altezza del suono, mentre con quella laterale si regola l’intensità.
La più grande virtuosa del Theremin fu Clara Rockmore, una violonista russa che, causa una ferita al braccio, dovette interrompere l’attività concertistica dedicandosi al nuovo strumento.