Visualizzazione post con etichetta montagna. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta montagna. Mostra tutti i post

domenica 12 settembre 2010

Valdigne - 4° giorno

L'ultimo giorno in Valdigne lo abbiamo dedicato ad una escursione a piedi. Abbiamo scelto di risalire la Val Veny in macchina fino a dove è consentito (Plan de Lognan) e di proseguire a piedi sino al rifugio Elisabetta attraversando il Vallon de la Lex Blanche. L'itinerario è molto battuto e non presenta difficoltà dato che segue la strada che porta al rifugio, chiusa alle auto, percorribile facilmente anche in mountain-bike. Dopo una prima parte più ripida si arriva al Lac de Combal a 1953 m. Purtroppo non ci siamo accorti che con una piccola deviazione potevamo andare al vicinissimo Lac du Miage ai piedi del ghiacciaio omonimo. Abbiamo proseguito in quota per il Vallon de la Lex Blanche, che solo nel tratto finale si inerpica per raggiungere i 2195 m. Dopo i dismessi fabbricati militari delle Seigne e con le previste due ore di cammino giungiamo al rifugio, costruito nel 1953 e dedicato all'escursionista Elisabetta Soldini Montanaro. Per noi che eravamo fuori esercizio può bastare così, anche perché inizia a piovere. Dal vallone e dal rifugio si può ammirare il ghiacciaio de la Lex Blanche. Al ritorno scegliamo una piccola variante per avvistare qualche marmotta che sentivamo fischiare. Poi ritorno alla macchina e all'albergo giusto in tempo prima del temporale. Ora le condizioni climatiche sono definitivamente cambiate, ma noi siamo contenti perché la nostra breve vacanza è finita.La sera siamo andati a cenare alla Baita Hermitage (si consiglia la prenotazione) che si trova in località omonima dove si può ammirare una splendida vista sui ghiacciai del Monte Bianco. La baita offre una una cugina regionale da preferire ai ristoranti di Courmayeur decisamente più turistici.

venerdì 10 settembre 2010

Valdigne - 1° giorno

Questa estate ho passato 5 giorni in Valdigne, l'alta Valle d'Aosta ai piedi del Monte Bianco.
Insieme a mia moglie ho soggiornato all’ Hotel Meublé Emile Rey che si trova a La Saxe, una località vicino a Courmayeur. Il grazioso albergo in origine era la casa natale di Emile Rey, la più famosa guida alpina locale. Si tratta di un due stelle con poche pretese, ma ben organizzato dalla francese Valérie aiutata dalla marocchina Asia e dalla rumena Alina.
La mattina, sfruttando la bella e assolata giornata, abbiamo percorso in macchina i pochi chilometri che ci separavano da La Palud per prendere le funivie che collegano il fondovalle con la Punta Helbronner. Giunti alla Punta ci siamo goduti il panorama dalla terrazza attraversata dal confine italo-francese. Bella vista sul gruppo del Monte Bianco da una parte e del Dente del Gigante dall’altra. Verso est si poteva vedere in lontananza il Cervino e il Monte Rosa. Dalla terrazza siamo scesi sul ghiacciaio del Gigante in un’area attrezzata recintata, ma che aveva una uscita per chi voleva passeggiare o fare escursioni sui ghiacciai.
Poi abbiamo preso la telecabina Panoramic che collega la Punta Helbronner con l’Aiguille du Midi. In trenta minuti abbiamo percorso i cinque chilometri che ci dividevano dall’Aiguille du Midi (3.842 metri) sospesi sul meraviglioso mare di ghiaccio.
Nel 1990 ero già stato con mia moglie sull’Aigulle du Midi provenendo da Chamonix. Anche allora era una bella giornata, ma con la presenza di un’unica nuvola che avvolgeva la guglia. Una volta scesi dalla teleferica ci siamo trovati avvolti dalla nuvola e impossibilitati a vedere alcunché.
Questa volta c’era una luce stupenda e si vedeva tutto.
Siamo stati in tutte le terrazze che erano piene di turisti (molti giapponesi) e di alpinisti che raggiungevano la terrazza scalando le rocce all’esterno. Dopo pranzo siamo tornati indietro fermandoci a vedere la mostra di cristalli alla Punta Helbronner e il giardino botanico alpino Sassurrea al Pavillon du Mont Fréty prima di tornare alla nostra base.

lunedì 16 febbraio 2009

in ricordo di Francesco Franzoi

Il 7 febbraio scorso, Telve e il Lagorai hanno perso uno dei loro migliori presidi umani: Francesco Franzoi, un uomo limpido e profondamente intelligente che aveva trascorso tutta una vita tra pascoli, essenze, latte e transumanze. Da bambina lo ricordo su a Villa San Lorenzo aiutare il mio nonno Clemente a –parar – la pigna. Il nonno a sua volta gli insegnò i molti segreti dell’arte del formaggio.
Più in là negli anni mi avrebbe confessato: “ Sai qual è stato il sogno più grande della mia vita? Poter andar lassù a gestire malga Valpiana “. E il sogno si avvera alla fine degli anni ’90: nell’età in cui normalmente si pensa alla pensione Francesco, insieme alla moglie Angelina e ai suoi animali, parte per malga Valpiana e lì ritrova il proprio ecosistema. Come due pionieri d’altri tempi, sradicano ortiche e farfaracci, accumulano sassi, sistemano scandole, curano i pascoli, ripristinano la sorgente, fanno ripartire la lavorazione del latte crudo, così che dopo un paio d’anni l’anziano barone Augusto Buffa di Castell’Alto mi dirà: “ Ho trovato la persona giusta per la mia malga. E’ Francesco Franzoi. Ora posso pensare seriamente alla ricostruzione.”
Nel 2000, quando fondammo la Libera Associazione Malghesi e Pastori del Lagorai, Francesco
si distinse, da subito, come il più entusiasta sostenitore della necessità di metterci insieme e di organizzarci per salvare il nostro secolare formaggio. Era tra i più anziani del gruppo e pur alzandosi alle 4 e mezza del mattino per mungere, non è mai mancato alle riunioni. Sempre attento, con una infinità di sapienze da trasmettere ai più giovani e quella sua convinzione profetica di come la montagna trentina andasse gestita, convinzione supportata da un esercizio continuo della sua esperienza contadina nella pratica quotidiana. C’era in Francesco un desiderio di trasportare, di traslocare tutti i suoi -io- del passato non come fossili preziosi ma come esperienze immuni dalla caducità, utili ai compiti del presente. Trascorrere un paio d’ore con lui in riunione o camminando insieme dentro per le Maddalene, osservarlo mentre cagliava il latte o sostare nel caserin del formai, il suo regno, era per tutti noi la miglior lezione antropologica. Così che quando dovevamo decidere il tema del calendario annuale e successivamente quello del documentario per la regia di Francesko Baldi, la scelta inevitabilmente cadeva su Francesco Franzoi, presidio rassicurante delle nostre montagne.
In questi ultimi anni il “progresso zootecnico trentino e le sue magnifiche sorti” l’avevano sempre più amareggiato, ma mai sconfitto, mai piegato ad alcun compromesso. Da uomo intelligente aveva capito che la libertà sbatte sempre contro mille ostacoli e che occorre alimentarla con la conoscenza, con la pratica delle relazioni fertili, con la coerenza .
Laura Zanetti

mercoledì 11 febbraio 2009

Addio grande malgaro del Lagorai

Ieri hanno seppellito, a Telve, il malghèro e casèro Francesco Franzoi, 72 anni. Memoria storica del Lagorai. Quell'uomo che al funzionario provinciale che gli spiegava che, per avere gli aiuti europei per la malga, avrebbe dovuto fare il formaggio sul fuoco a gas, rispose: «Fallo tu. Qui siamo in mezzo alla legna. Chi pulisce i boschi altrimenti? E perché pagare un milione di lire di gas con tutta questa legna? Il formaggio poi, viene molto meglio col fuoco di legna».
La chiesa di Telve ieri era gremita, gente in piedi e sul sagrato. Non seppellivano un professore o, chissà, uno che aveva avuto successo fuori casa. Seppellivano un malgaro, un pastore che in vita aveva fatto anche la transumanza delle pecore, Francesco Franzoi. Uno di quelli che, se i sapienti lo avessero ascoltato, ora sarebbe meglio per tutti. Sull'altare il padre francescano di Borgo, Andrea. Molti fiori, bianchi e gialli. Vicino alla bara la moglie di Francesco, quella Angelina Bonadio che l'uomo era andato a prendersi in Calabria, a Platania, figlia come lui di contadini senza terra. Poi i figlioli Mario, Sara, Fiorenza. Il frate va col pensiero alla malga. «Quante volte in montagna, in malga, Francesco avrà scoperto che meraviglia è la creazione, in un fiore, in un filo d'erba». Questo piccolo uomo di Telve, un fascio di muscoli e di nervi, alto un metro e 65, sapeva godere nella natura, viverci in simbiosi.
Francesco Franzoi era l'uomo che portava avanti una delle malghe mitiche del Lagorai, Valpiana, malga privata del baron Buffa. «Ho iniziato ad andare in malga - raccontava - a 10 anni», la famiglia era di mezzadri e anche la sua casa era del barone. Prima di Valpiana lui aveva caricato malghe nel Cadore e in Svizzera e le malghe di Telve, Cagnon e Casalbolenghéta. Ma aveva fatto per anni anche il pastore di pecore e di sé diceva: «Ho le ossa grosse perché mi sono alimentato tanto di latte di capra». Lui, il formaggio aveva imparato a farlo a 10 anni da Clemente Ferrai, altro personaggio della mitologia «casara» di Valsugana. A metà anni '90 ecco Valpiana che il barone, coi contributi europei, ristrutturò. «Io il formaggio - diceva - lo faccio en pochetino più morbiéto e pu grasso». In chiesa il saluto di Laura Zanetti dei Liberi pastori e malghesi del Lagorai: «Senza di te, Francesco, chi penserà alla nostra montagna?».
Lo mettono nella terra Franzoi. Lo salutano Guido Palù, per anni malgaro a Setteselle ed Eugenio Campestrin che lo stesso ha fatto in tutte le malghe del Lagorai, tra cui Trenca e Valsolero. È gente che, come fa Palù con una signora della sua età che gli passa accanto, dice: «Ghe situ 'ncora?». Gente che ha tenuto viva la nostra montagna e prodotto formaggio e burro dal sapore che oggi nessuno più riesce a riprodurre.
Renzo M. Grosselli
l’Adige, 10 febbraio 2009

domenica 17 giugno 2007

L'Adige - domenica 1 aprile 1997

Valpiana e il miracolo del formaggio
Francesko Baldi, un video sulla più mitica della malghe
di Renzo M. Grosselli

Il flauto e il vento, con le nubi a camminare nel cielo. Inizia così il video «Valpiana», regia di Francesko Baldi. E finisce, quasi, con una breve frase di Francesco, il malgaro: «Noi piccoli non ci guardano, se va avanti così la montagna è persa». Il flauto, fatto di solitudine, ad iniziare il racconto della montagna. Che è il racconto di tutte le montagne nostre. Il flauto nel vento, con le nubi in veloce cammino. E rocce e l'ultima neve. L'aria allora, su cui si raccolgono i prati e le poche costruzioni di una malga. Valpiana, val Calamento, più di 1.800 metri sul livello del mare ed una proprietà diversa. Qui i padroni, che ci hanno investito nel corso dei decenni, sono della famiglia Buffa di Castell'Alto, nobiltà di Telve Valsugana. Poi viene l'acqua, fatta di neve dapprima, poi figlia di piogge montane, di fulmini e scrosci. E va giù l'acqua, per le spalle del monte, gli corre sui reni, raggiunge i polpacci della montagna. E corre e si fa ruscello e poi più grande ancora. Coi suoi giochi, l'acqua, i saltelli e gli sciacquii ma anche i ciottoli, coi loro colori diversi. E viene il prato, le margherite e quei fiori che paiono grandi papaveri, ma gialli non rossi. La musica ora, bretone, ad accompagnare la videocamera che si fa d'erba, s'inverdisce. Una lunga ferita sul monte C'è una lunga ferita che si apre sul monte ed è la prateria dove giace Valpiana. La malga che quieta la musica e libera, invece, suoni di campanacci. Perché è l'estate e gli animali stanno lassù e sono le capre, coi campanelli, e le mucche con i campanacci e qualche cavallo che se ne va libero perché i cavalli sono come il vento e se anche li prendi, li tieni per poco e poi corrono via. Sono muggiti, belati, nitriti, versi che vengono dritti dalla nostra infanzia. Ma lassù, a Valpiana, avverti anche delle voci di bimbi prima del silenzio. È il silenzio che annuncia l'arrivo sull'Alpe di Francesco e di Angelina. C'è ordine con loro, c'è anche pulizia. « Quanti ani gavévo? Quindici. Sempre con le bestie. Una malga buona Valpiana, come erba. Come pascoli. Qua il burro diventa giallo, anche il formaggio. Qui e anche a Montalon. Ma non più in basso. Ma c'è poca acqua» dice il malgaro, il casaro, dice Francesco che da una vita fa il formaggio. Il verde è bellissimo, come di una donna che abbia fatto i vent'anni e si mostri nella sua perfetta maturazione, prima di ogni decadenza, nel momento stesso in cui la clorofilla le ha aperto il sorriso al giorno, le ha modellato il seno. E Francesco, Francesco di Valpiana: «Il formaggio da un giorno all'altro non è eguale. Cambia di giorno in giorno. Ma anche le stesse forme che faccio in un giorno sono diverse, il sapore cambia da una forma all'altra, da un giorno all'altro». Perché è la magia del formaggio. Quanto è lontano quel mercato che, come ci disse un giorno quel funzionario provinciale, garantisce una qualità costante ma anche l'assoluta igienicità e «porta il nostro nome nel mondo». No: tutto ma non questo, il nostro nome è Malga Preghena, nella montagna di Non, o Setteselle, qui vicino, a questo nome noi rispondiamo per sangue e per spirito libero. Ogni forma di formaggio nel firmamento delle malghe ha il suo sapore: perché ogni forma è una vacca, sono due vacche o tre vacche e le erbe soprattutto, quelle di quel giorno e di quel sole, con o senza i fiori. Questa è Valpiana. Anche. Un vecchio uomo e con lui una vecchia signora. Lei è Angelina, è la donna di Francesco e li vedi trattare il latte. Lui applicare la mungitrice elettrica alle mammelle grosse e sugose della vacche. Poi lei e lui che versano il latte, che trattano la panna, che lavorano e, alla fine, prepareranno il burro e il formaggio. Come ogni anno da tanti anni. Nel cielo terso del Lagorai. Nel cielo annerito e infuriato del Lagorai. Che noi cantiamo fino a che resterà la voce nella nostra gola. Spacca la legna Francesco e Angelina prepara il fuoco e su quel piccolo fuoco viene portata l'enorme «calgiéra» colma di latte. Francesco è sbarbato, bello, lo filmano oggi. Ed è sempre la musica bretone che accompagna la montagna e il formaggio che si fa, piano. La mano esperta di Francesco va giù nel latte tiepido e raccoglie i primi grumi, li porta alla bocca. Poi le sue mani raccolgono il formaggio, grande e freschissimo. Perché Valpiana è il miracolo del formaggio. Lei, Angelina, lavora al burro nella cavalcata della musica bretone. Ricorda Francesco: «Mi dissero che c'era una brava ragazza in Calabria. Venga subito o parte. E sono andato là e in tre giorni eravamo sposati. Ho comperato terra, trattori. Ho tre figli. Abbiamo lavorato tanto ma erano anni buoni. Oggi guardano solo ai grandi. Noi piccoli non ci guardano. Se va avanti così la montagna è persa». E sarebbe perso il Trentino. «Sono nato nel 1956. - dice Francesco Baldi, l'altro Francesco, il regista - Non a Telve, terra di mio padre, ma a Montichiari, Brescia. Casualmente. È il paese di mia madre ma non lo sento come un luogo mio. Mia nonna era levatrice e io e mia sorella siamo nati lì perché la mamma voleva farci nascere assistita dalla nonna. Fatti in casa». Quindi, di dove sei Francesco Baldi? «Apolide. Abito a Roma ma ho sempre avvertito che le mie radici sono in Trentino». Poi un pensiero: «Coi genitori facevo sempre le vacanze in val Calamento da piccolo. Poi ho iniziato ad andarci da solo, con gli amici. Radici valsuganotte». Perché questo video su Malga Valpiana, voluto dalla «pasionaria», Laura Zanetti, e dalla Libera Associazione Malghesi e Pastori del Lagorai? «Malga Valpiana fa parte della mia vita. Una delle più classiche passeggiate delle mie estati, prima con papà, poi con la mia ragazza. Quasi come un rito andarsene su a piedi, ben prima che ci fosse la strada. Ecco, ora ho girato un video come fosse un pezzo della mia vita. Già in passato, ogni volta che il lavoro me lo permetteva, inserivo queste zone nelle mie opere. Con mio padre, Marcello Baldi (ndr, il regista del documentario «Italia K2» ma anche di grandi successi di cassetta, film con Jack Palance e Gina Lollobrigida, poi grande documentarista), facemmo una puntata di "Italia in bicicletta" su Rai3 e io nel quinto itinerario inserii Calamento e Malga Valsolero». La sua professione non è quella di filmaker . «Io mi occupo sia di musica che di video e immagine. La mia attività quotidiana è quella di insegnante nel conservatorio di Frosinone. Insegno flauto al corso tradizionale e da tre anni, dopo la riforma, a livello universitario insegno Storia della musica rock , l'unica cattedra in Italia». C'è una giustizia mefistofelica che regge le sorti del mondo: solo un insegnante di rock poteva cantare così Malga Valpiana. «In passato ho fatto comunque vari lavori che univano musica e immagine. Il progetto Valpiana, ad esempio, è pensato come una suite musicale. La prima parte è ambientale, poi la montagna, l'aria, l'acqua, i fiori, le malghe. La seconda parte su Valpiana, la vita di Francesco e Angelina, la lavorazione del formaggio, il cane Stella. Nel finale, le conclusioni di Francesco». Cosa ha fatto Baldi con il video, in passato? «Video artistici sperimentali, con musica e teatro, lavori di ricerca. Poi ho fatto l'aiuto regista e il regista, anche per la televisione». Suo padre è un monumento. Immaginiamo anche scomodo per lei. «Soprattutto in Trentino. Là lui è per tutti il regista trentino quindi quando si parla di Baldi... Ma io posso dire di aver fatto delle belle esperienze con lui».
Questo video, prodotto da Thomas Torelli, montaggio di Roberto Borrello e fotografia di Luca Silvagni, sarà proiettato al «TrentoFilmFestival», edizione 2007. «Certamente si tratterà di una occasione, di una apertura. Il nostro lavoro è stato portato avanti con finanziamenti europei, pochi soldi quindi. Ma c'era anche un accordo col produttore, Torelli, che avrebbe potuto costituire l'inizio di una serie di ritratti di gente delle Alpi, lo scultore in legno, la guida... Vedremo il responso della gente». Il video è firmato «Francesko». «Un vezzo, uso sempre la K quando firmo lavori che mi paiono importanti, che mi legano alle mie radici». C'è la neve adesso lassù, a Valpiana. Anzi, è appena nevicato. E sono altri gli animali che vi lasciano tracce: il camoscio e la volpe, la lepre e lo scoiattolo. Ma verrà la prima estate e quella montagna si riempirà di muggiti e belati. E qualche nitrito. Fino a quando ci saranno Francesco e Angelina a tenere alta la nostra bandiera. Che è una bandiera d'erbe e di formaggi. Ogni giorno diversi. E con quel sapore che è anche di «legne» e di fumo.