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domenica 8 maggio 2011

Agora

Ho visto in televisione il film Agora di Alejandro Amenabar (Spagna, 2009). Peccato non averlo visto al cinema perché questo film merita di essere guardato sul grande schermo. Si racconta la storia di Ipazia, filosofa e scienziata del IV secolo d.C. vittima del fondamentalismo religioso dei cristiani di Alessandria d'Egitto. Il grande merito del film è proprio quello di aver rinnovato la memoria di questa grande donna e del suo martririo. Il mandante del suo assassinio fu l'allora vescovo Cirillo di Alessandria che era diventato molto potente gestendo il suo episcopato «... oltre i limiti delle sue funzioni sacerdotali» (Socrate Scolastico). Perseguitò con accanimento e ferocia i novaziani, gli ebrei e i pagani, passando alla storia come colui che distrusse la potente colonia ebraica di Alessandria. Venerato dalla Chiesa ortodossa e dalla Chiesa copta, fu fatto santo dalla Chiesa cattolica il 28 luglio 1882 che, invece di condannarne gli eccesssi, lo proclamò Dottore dell'Incarnazione. Anche recentemente, nella udienza generale del 3 ottobre 2007, l'attuale papa ne ha esaltato la grande figura tra i Padri della Chiesa.
Il film ha suscitato prevedibili polemiche che ne hanno ritardato l'uscita in alcuni paesi tra i quali l'Italia. Il regista ha dichiarato di non aver avuto l'intenzione di attaccare il cristianesimo, ma di narrare gli eccessi dell'intolleranza religiosa da qualsiasi parte provenga "... il mio film è cristiano perchè difende i principi cristiani della pietà e della compassione e avvicina il destino di Ipazia a quello di Gesù Cristo. Volevo mostrare al pubblico come nulla sia cambiato rispetto all'antichità, come ciò che i cristiani facevano all'epoca somigli al comportamento degli integralisti islamici di oggi." Decisamente belle le scene dei tumulti dove la folla inferocita sembra uno sciame di formiche operose, mentre non convincono i momenti in cui il film di distacca dalla ricostruzione storica.

mercoledì 3 novembre 2010

Cristiani in Iraq

Il recente massacro avvenuto a Baghdad nella chiesa siro-cattolica di Nostra Signora della Salvezza ripropone il dramma dei cristiani in Iraq che, dopo la guerra voluta da Bush, vengono sistematicamente perseguitati e uccisi da fanatici religiosi o da delinquenti comuni. Qualche anno fa avevo elaborato un progetto per un documentario dal titolo Cristiani in Iraq. Il documentario non si riuscì a organizzare e adesso desidero pubblicare parte del materiale che avevo scritto a suo tempo e che, purtroppo, è ancora attuale.
La storia dei cristiani iracheni risale alla predicazione dell’apostolo Tommaso, ritenuto il fondatore del cristianesimo in Iraq. Le comunità cristiane più numerose si trovano a Baghdad, nelle città nel nord del Paese (Kirkuk, Irbil e Mosul), nonché nell’antica Ninive.
I cristiani in Iraq sono il 3% della popolazione e appartengono a diversi riti: assiro nestoriano, siro-cattolico e i siro-ortodosso. Di numero più ridotto sono gli armeni ortodossi. I cristiani hanno sempre avuto buone relazioni con la maggioranza musulmana nel Paese e in passato non si erano mai verificati episodi di violenza, discriminazione o intolleranza a livello sociale.
Durante l’ultimo conflitto in Iraq molti cristiani iracheni si sono rifugiati all’estero attendendo gli sviluppi della situazione con la speranza di rientrare in patria. Dopo la caduta del regime baathista, sono iniziate le violenze ai danni della comunità cristiana: donne assassinate per strada, uomini rapiti nelle loro case, parroci che continuano a ricevere minacce e intimidazioni telefoniche.
All’inizio si pensava che la tragica situazione del paese portasse ogni iracheno a desiderare un posto più sicuro e il patriarca caldeo Emmanuel III Delly assicurava che non si poteva parlare di una diaspora per la comunità cristiana locale. Molti cristiani sceglievano di andare al nord del paese nei loro villaggi d’origine, dove alcuni avevano ancora una casa o dei parenti. Partivano da Baghdad o da Bassora e si trattenevano per due settimane o un mese, aspettando che nelle loro città scendesse la tensione per poi ritornare e riprendere a lavorare. Altri cercavano riparo in Giordania, Turchia, Libano, oppure raggiungevano i parenti negli Usa e in Europa, ma senza chiedere asilo politico, cosa che avrebbe implicato l’impossibilità di tornare al paese di origine.
La situazione è andata sempre più peggiorando e nel 2007 si è avuta un’escalation di minacce, rapimenti, intimidazioni e assassini. Una delle città più colpite è Mosul, roccaforte sunnita, dove le famiglie cristiane rimaste subiscono minacce fisiche, sequestri di persona a scopo di lucro, nonché intimidazioni telefoniche in cui si chiede loro di pagare un contributo alla resistenza (sunnita), pena la vita. La comunità ogni volta è costretta a raccogliere somme ingenti che vanno a pesare su una situazione economica già ai limiti; per di più, senza avere la certezza di rivedere in vita i propri cari.
Nel mirino ci sono anche le chiese dove i parroci locali vivono sotto continua minaccia. A questo si aggiungono le difficoltà materiali: insicurezza nelle strade, mancanza di elettricità e di carburante, il freddo.
A causa di questa situazione il Patriarcato caldeo ha trasferito in Kurdistan il Babel College e il Seminario maggiore di San Pietro.
Nella provincia di Niniveh si teme che il prossimo bersaglio potrebbero essere proprio i villaggi cristiani della Piana, dove è del tutto assente la presenza ed il controllo delle forze statunitensi ed irachene.
Tra la crescente insicurezza e precarietà la decimata comunità cristiana continua a pregare per la pace, spesso in luoghi sotterranei e nascosti come i primi cristiani. Lo hanno fatto anche in occasione della Solennità dell’Assunta nella chiesa di Kirkuk gremita di fedeli caldei, dove l’arcivescovo mons. Louis Sako, ha celebrato la messa in occasione della festa, molto importante per la Chiesa caldea.
Seppure in dimensioni diverse, il dramma dei cristiani iracheni è lo stesso vissuto dai sunniti e dai curdi, come pure della maggioranza sciita. Le violenze settarie non cessano, come gli attentati alle moschee.

venerdì 20 febbraio 2009

Mar Musa

Paolo Dall’Oglio (Roma, 1954) da ragazzo era un militante di sinistra. Dopo aver lavorato in un cantiere di Fiumicino, scopre la solidarietà operaia. Dopo la laurea, comincia a maturare la sua vocazione e nel 1975 entra nella Compagnia di Gesù.
Nel 1982, da una vecchia guida turistica della Siria, viene a conoscenza dell’esistenza di Mar Musa, monastero abbandonato da molto tempo. Comprende che lì è diretta la sua missione e decide di far risorgere il monastero fondandovi una comunità dove il dialogo tra cristiani e musulmani è quotidianamente e concretamente vissuto.
Mar Musa, monastero dedicato a san Mosè l’Abissino, sorge in mezzo al deserto, in cima a una montagna scoscesa, nei pressi della cittadina di Nebek, in Siria. Abbandonato da due secoli, è stato restaurato grazie alla tenacia di padre Paolo, che vi ha fondato una comunità monastica di rito siriaco.
La sua vicenda, raccolta dalla giornalista francese Guyonne de Montjou, è raccontata nel libro "Mar Musa. Un monastero, un uomo, un deserto".
In monastero accoglie chiunque lo desideri (max 60 posti).