martedì 18 marzo 2008

Storia del flauto - il periodo barocco

dalla tesi di
Luca Lombardi
La parabola evolutiva del flauto nella letteratura orchestrale
Flauto (indirizzo orchestrale) - diploma accademico di II livello
Conservatorio "L. Refice" di Frosinone
Dopo il suo esordio nell’organico Orchestrale operistico il Flauto venne utilizzato nel corso del periodo Barocco sempre più spesso anche nella Musica prettamente strumentale.
Il generale cambiamento della scrittura, delle forme e dei generi Musicali che avvenne nel Seicento influenzò in maniera crescente la produzione, la fattura e l’impiego dei Fiati.
Gli Strumenti dovevano corrispondere al nuovo stile in flessibilità dinamica ed espressività, secondo un gusto del tutto nuovo, ricco di sfumature o di repentini contrasti.
Il ruolo preminente svolto dall’Orchestra d’Archi costituitasi nel XVII sec. generò una selezione nel campo dei Fiati.
Una qualità consapevolmente ricercata nel suono dei Legni barocchi fu infatti la buona disposizione a fondersi con il timbro degli Archi.
Se la fattura rinascimentale propendeva per timbri ben distinti, chiari e penetranti, adatti a differenziare le linee melodiche della polifonia, la fattura barocca privilegiava timbri relativamente scuri e morbidi con buona disposizione all’impasto coloristico.
Nelle Orchestre d’Opera e di Musica Sacra, la funzione del Flauto ( e degli altri Fiati ) fu quella di introdurre o di sottolineare e ampliare determinati “affetti” rappresentati sulla scena o suscitati dal testo sacro.
Si trattò in genere di episodi lasciati interamente ai Fiati, come nelle danze “en Trio” presenti nelle opere di Lully, sia di arie con uno o più Strumenti “obbligati” insieme alle voci.
Per quanto riguarda invece la Musica prettamente Orchestrale verso la fine del ‘600 si cominciò a distinguere lo stile della Musica da Camera da quello della Musica per Orchestra, cioè tra un insieme Musicale dove ogni parte era suonata da un solo strumento, e un insieme dove ogni parte era suonata da più Strumenti.
In gran parte dei lavori per gruppi strumentali del XVII sec. non erano chiare le preferenze del compositore a questo proposito.
L’espressione degli “affetti” fu una delle principali finalità dell’estetica barocca.
Essa era presente anche nella Musica strumentale.
Gli “affetti” venivano suscitati e placati da precisi elementi compositivi (scelta della tonalità, generale andamento ritmico e melodico, quantità e tipo di dissonanze, cromatismi, eccetera ), così come dalla scelta del timbro degli Strumenti.
Perciò i Fiati barocchi, oltre che per la qualità di impasto con gli Archi, trovarono una collocazione Orchestrale anche come interpreti di riferimento di ben determinate categorie di “affetti”.
In Orchestra il Violino fu lo strumento più versatile e flessibile in questa funzione espressiva, mentre i Fiati furono usati in modo più specifico e piuttosto rigido, sviluppando maggiore libertà solo nel loro repertorio solistico.
Nell’ultimo ventennio del XVII sec. apparve un nuovo tipo di composizione, il Concerto, che diventò il genere più importante di Musica Orchestrale Barocco dopo il 1700.
Il Concerto era una sintesi, esclusivamente strumentale, di quattro pratiche barocche fondamentali; il principio del “Concertato”, la struttura composta di un Basso solido e di una parte acuta fiorita, un’organizzazione Musicale basata sul sistema maggiore-minore e la costruzione di un lungo brano elaborato in movimenti autonomi separati.
Intorno al 1700, si scrivevano Concerti di tre generi diversi.
Il Concerto Orchestrale (detto anche Concerto-Sinfonia) era un semplice brano in diversi movimenti in uno stile che metteva in risalto la parte del primo Violino e del Basso e di solito evitava la più complessa struttura contrappuntistica tipica della Sonata e della Sinfonia.
Ma in questo periodo erano più frequenti e importanti le altre due forme di Concerto, il Concerto grosso e il Concerto solista, entrambi i quali presentavano di norma sonorità contrastanti: un piccolo gruppo di Strumenti solisti nel Concerto Grosso, un singolo strumento nel Concerto solista, si contrapponevano alla restante massa orchestrale.
Uno dei più grandi compositori del genere è Antonio Vivaldi che ne scrisse più di 600.
Per quanto riguarda più specificatamente il Flauto oltre ai concerti solistici possiamo citare il Concerto in Fa maggiore “La Tempesta di Mare” per Flauto, Oboe, Fagotto, Archi e Basso continuo RV570 ed il Concerto in Fa maggiore “Il Proteo o sia il Mondo al rovescio” per Violino, Violoncello, due Flauti, due Oboi, Archi e Basso continuo RV572.
Proseguendo nel percorso Flautistico barocco non possiamo non prendere in esame l’Opera di Johann Sebastian Bach.
Sebbene l’Opera per Flauto finisca per risultare secondaria nell’ambito della complessa produzione bachiana, non possiamo non riconoscere e non rintracciare anche in essa quel percorso fatto di felice ispirazione e magica inventiva ed allo stesso tempo di abile razionalità costruttiva, sintesi barocca di una ricerca non solo Musicale ma anche esistenziale che porta Bach dalla speculazione empirica e scientifica della nova armonia “ben temperata” fino alla tensione dell’individuo verso la comunione con Dio: SDG (Soli Deo Gloria) è infatti il motto con il quale egli amava concludere le proprie fatiche.
Ad avvalorare la tesi circa l’interesse di Bach per il Flauto traverso vi è anche la composizione dei Concerti Brandeburghesi ed in particolare del n°5 in Re mag. BWV1050 strumentato per Flauto traverso, Violino principale, Cembalo concertato, Violino in ripieno, Viola in ripieno, Violoncello e Violone.
Il primo movimento del Concerto n°5 registra, forse per la prima volta, la presenza di un Flauto traverso “concertante” nell’ambito di una seppur ridotta compagine e forma Orchestrale.
E Bach concede al Flauto uno spazio ancora più privilegiato nell’Ouverture in Si min. BWV1067 nella quale, accompagnato dagli Archi e dal Cembalo, si propone come strumento guida dell’intero brano.
Che Bach provasse un autentico interesse per le qualità espressive del Flauto è dimostrato, più ancora che dalla Musica strumentale, dalla importante presenza dei Flauti nella sua Musica sacra.
Nelle Passioni, nelle Messe e nelle numerose Cantate con Arie con Flauto “obbligato”, lo strumento ha la funzione di amplificare gli “affetti” indotti dai testi sacri.
Bach scelse il Flauto per la giocosa fioritura che accompagna “Was Gott tut, das ist wohlgetan” (BWV100) e la baldanzosa gioia nella lode a Dio in “Herr Gott, dich loben alle wir” (BWV130) e “Schmucke dich, o liebe Seele” (BWV180); ma anche per l’eterea atmosfera di “Esurientes implevit bonis” (Magnificat in Re mag. BWV243), con due Flauti nella tessitura medio-acuta di Mi mag., o per la struggente dolcezza di “Aus Liebe will mein Heiland streben” (Passione secondo S.Matteo BWV244), insieme a due Oboi da caccia, di “Qui tollis peccata mundi” (Messa in La mag. BWV234), in cui due Flauti ritmano la tensione con le reciproche dissonanze, fino al tragico “scorrere delle lacrime” di Maria in “Zerfliβe, mein Herze” (Passione secondo S.Giovanni), dove la opaca tonalità di Fa min., assieme al suono “chiuso” dell’Oboe da caccia, contribuiscono all’atmosfera d’intimo dolore.
La vivacità culturale e Musicale dell’ambiente berlinese e in particolare del centro di Mannheim costituiscono il ponte di passaggio dal tardo Barocco allo stile Classico.
Questo periodo intermedio, che va più o meno dal 1730/40 al 1770/80, offre un quadro particolarmente ricco di figure ed elementi interessanti secondo tre percorsi principali: l’agile e brillante “Stile Galante” (rappresentato da Johann Cristian Bach); il più intenso “Stile Sensibile” (il cui principale esponente sarà Carl Philipp Emmanuel Bach); il tardo Barocco dai tratti maggiormente legati alla tradizione ed alla conservazione (come in diversi compositori dell’ambiente berlinese).
Mannheim diviene un centro Musicale prestigioso, mantenendo un ruolo dominante fino a fine secolo.
Vi giungono musicisti da tutta Europa e la città diviene in questo modo fucina di nuove esperienze stilistiche.
Sotto la guida di Johann Stamitz l’Orchestra di Mannheim diventò famosa in tutta Europa per i suoi virtuosismi, per la sua strutturazione organica ben definita (con un numero identico di Violini I e Violini II) per la sua fino ad allora sconosciuta estensione dinamica che spaziava dai più delicati “pianissimo” ai più sonori “fortissimo” e per il suono penetrante dei suoi crescendo.
A Mannheim il Flauto, insieme agli altri Fiati, acquisterà una sua particolare dignità, anche nell’ambito dell’Orchestra, nella quale gli Strumenti a fiato sostengono, colmano e animano la sezione degli Archi, mentre la presenza a corte di numerosi virtuosi contribuirà alla fiorente stesura di un patrimonio solistico dai nuovi tratti.

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