giovedì 21 marzo 2013

Una settimana a New York


CENTRAL PARK
Che città delle tenebre sarebbe Midtown Manhattan senza Central Park. I grattacieli svettano alti alla conquista della luce che sottraggono alle strade sottostanti e ai suoi abitanti in perenne movimento. Come alberi di alto fusto, formano oscure foreste brulicanti di vita. Central Park è il polmone verde che purifica in tutti i sensi la vita dei newyorkesi.
A Central Park puoi fare un tranquillo pic-nic sull’erba o ascoltare un concerto, puoi fare jogging o vagare in bicicletta senza meta, puoi parlare d’amore assaporando il piacere d’amare e dell’essere amato, puoi chiudere gli occhi, puoi... immaginare.
Immagina che non esista il paradiso,
è facile se provi,
nessun inferno sotto di noi,
sopra di noi solo il cielo.
Immagina tutta la gente
vivere per il presente.
Immagina che non esistano frontiere,
non è difficile da fare,
nessuno per cui uccidere o morire
e nessuna religione.
Immagina tutta la gente
vivere una vita in pace... (John Lennon)

Provate a fare tutto quello che ho scritto in una delle grandi arterie come la Fifth Avenue e capirete l’importanza di Central Park.
A qualcuno il parco può sembrare essere naturale, nonché una testimonianza di come doveva essere Manhattan alle origini. Alla metà del XIX secolo la zona era invece un'area paludosa che conteneva una discarica di rifiuti, un impianto di trattamento di carcasse animali per ricavarne olio e alcuni allevamenti di maiali. C'era anche un piccolo villaggio di operai abitato in gran parte da poveri immigrati tedeschi, irlandesi e da afroamericani che vivevano in piccole comunità. Il parco fu creato artificialmente da un progetto degli architetti Frederick Law Olmsted e Calvert Vaux che risultarono vincitori di una gara comunale.
Nelle vie adiacenti il parco abitava Charles Ives, il primo grande compositore americano che nel 1906 compone Central Park in the Dark, un brano per orchestra da camera. La composizione vuole descrivere sia i suoni che si potevano sentire nel parco, sia il paesaggio sonoro interiore mentre si è seduti su una panchina di Central Park in una calda notte d'estate.
Gli archi rappresentano i suoni della notte e l’oscurità silenziosa interrotta da echi, il resto dell’orchestra, provenienti dal Casinò oltre il laghetto, voci di cantanti da strada che salgono dal Circle cantando frammenti di canzoni di quei tempi, qualche barbagianni notturno che ritorna dall’Illis Bar fischiettando l’ultima novità, o la marcia goliardica delle matricole di Yale, l’ubriaco occasionale, un corteo o una rissa in lontananza. Strilloni che gridano, pianole che gareggiano a base di Rag-time da un appartamento all’altro. Un tram e una street band si uniscono al coro; un’autopompa, una carrozza passa e se ne va, i passanti vociano, di nuovo torna l’oscurità. Ancora un’eco oltre il laghetto e noi torniamo a casa. 
Central Park è anche la madre di tanti altri piccoli parchi sparsi qua e la, dove si ferma la corsa della metropoli.
Sono il regno di uccelli e di scoiattoli che raramente puoi incontrare sull’asfalto che li circonda. Regno anche di gente perduta che come gli scoiattoli non osa attraversare la strada piena di insidie.

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