lunedì 19 ottobre 2009

Motel Woodstock

A quarant'anni dal grande evento, simbolo di un'intera generazione, è uscito il film di Ang Lee Motel Woodstock. Il film è una brillante commedia che narra la storia di una famiglia che vive presso Bethel, un piccolo paese rurale dello stato di New York. La loro vita sarà radicalmente scossa dal grande festival di Woodstock che si svolse proprio a Bethel dal 15 al 18 agosto del 1969. Il film non descrive il concerto (cosa ampiamente fatta dal documentario di Michael Wadleigh), ma mette ben a fuoco quello che è stato lo "spirito" di Woodstock, culmine di un movimento culturale iniziato negli anni '50 con l'avvento del rock'n'roll. Tra gli attori si segnala la brillante caratterizzazione di Imeld Stauton nel ruolo della madre.
Il festival doveva svolgersi nella città di Woodstock scelta dagli organizzatori perché sede di una comunità di artisti tra i quali Bob Dylan. Le autorità locali si spaventarono quando si resero conto dell'enorme numero di gente che la manifestazione avrebbe attirato e il permesso precedentemente concesso fu revocato. Alla fine Elliot Tiber, proprietario del motel "El Monaco" sul White Lake a Bethel, si offrì di ospitare il festival in una sua tenuta di 15 acri dato che aveva già ottenuto un permesso per un piccolo festival musicale locale. Gli organizzatori giudicarono il luogo troppo piccolo e inadatto. Allora Tiber propose un terreno di proprietà di Max Yasgur, un allevatore suo amico, che aveva la forma di un anfiteatro naturale. Il festival mantenne il nome di Woodstock, perché erano stati venduti un gran numero di biglietti con quella dicitura. Il resto è storia.
Motel Woodstock

Titolo originale: Taking Woodstock
Paese: USA
Anno: 2009
Durata: 110 min
Regia: Ang Lee
Soggetto: Elliot Tiber, Tom Monte
Sceneggiatura: James Schamus
Produttore: Ang Lee, James Schamus
Casa di produzione: Focus Features
Interpreti: Demetri Martin, Imelda Staunton, Henry Goodman, Emile Hirsch, Liev Schreiber

venerdì 9 ottobre 2009

High Tide

Il chitarrista Tony Hill e il violinista Simon House fondarono gli High Tide, un complesso inglese dei primi anni del progressive. Il loro stile è unico e si colloca in quello che viene definito progressive-gotico e fa riferimento alla tradizione del gotico Britannico, punto di partenza per le loro lunghe improvvisazioni. Il gruppo fa parte di un serie di band emergenti che caratterizzarono la controcultura musicale londinese alla fine degli anni '60, in particolare nel quartiere di Ladbroke Grove.
Nel 1969 esce il loro primo album Sea Shanties. Contiene la funerea The Futilist Lament, la tenebrosa Death Warmed Up, mentre la lunga Missing Out ricorda in alcuni passaggi i Jethro Tull.
L'anno successivo vede la luce High Tide che è considerato il loro lavoro migliore. L'album, molto più strumentale dl primo, è formato da tre lunghe suite. Blankman Cries Again è introdotta con le note del violino distorte con il wha-wha seguite da una breve parte vocale per poi proseguire con una ballata strumentale dove chitarra e violino duettano selvaggiamente. La successiva The Joke è più varia con l'alternanza di parti ariose con atmosfere più oscure. Conclude la lunga e visionaria Saneonymous dove sono riassunte le loro idee musicali. Con questo album il gruppo raggiunge il proprio apice creativo, ma contemporaneamente segnerà la loro fine a causa dello scarso interesse suscitato sia nel pubblico che nella stampa specializzata inglese. Gli High Tide riescono ad ottenere un successo commerciale in Germania dove hanno influenzato i gruppi rock locali che saranno venuti come gli Amon Duul II.
Precious Cargo è il loro terzo album registrato dal vivo nel 1970 rimasto inedito per quasi vent'anni.

sabato 26 settembre 2009

Lagane e ceci

Ho conosciuto questo piatto quando lavoravo a Cosenza, ma si tratta di una ricetta popolarissima anche in Puglia e in tutta la Basilicata. Tipica del giorno di S. Giuseppe (19 marzo) quando le famiglie benestanti del paese le preparavano in maggiore quantità per offrirle ai poveri.
ingredienti:
farina di grano duro 600 g; ceci 300 g; olio; rosmarino; aglio; peperoncino; sale.
dosi: 6 persone
esecuzione:
Il giorno precedente pulire e lavare i ceci in acqua tiepida salata, poi tenerli a bagno una notte intera in acqua fredda. Impastare la farina con l'acqua tiepida necessaria sino a ottenere una pasta liscia di giusta consistenza, lavorarla ancora energicamente e stenderla con il mattarello ricavando una sfoglia sottile. Lasciarla asciugare un poco e tagliarla a fettuccine larghe un centimetro. Intanto scolare i ceci e metterli in una pentola di coccio con acqua fresca. La quantità d'acqua per la cottura deve essere almeno il doppio del volume dei ceci. Cuocerli a fuoco lento senza altra aggiunta di sale (si può mettere una costa di sedano). Preparare una salsina facendo imbiondire uno spicchio d'aglio in olio con un peperoncino e del rosmarino tritato. Togliere l'aglio quando inizia a scurirsi. Quando i ceci sono quasi cotti, mettere le lagane a bollire in abbondante acqua salata e scolarle al dente. In una terrina versare la pasta e i ceci e condirli con il soffritto e un poco di acqua di cottura. Lasciar riposare per qualche momento, quindi servire.

Patè di faraona

Questo piatto può essere servito come antipasto, per un buffet o per un pic-nic.
ingredienti:
faraona di buon peso; burro g 150;g olio 3 cucchiai; cipolla; alloro; bacche di ginepro; gelatina istantanea 1 tavoletta brodo; cognac 1/2 bicchiere; sale.
dosi: 6 persone
tempo: 1h + refrigerazione
esecuzione:
Pulite la faraona, tagliatela a pezzi e mettetela in una casseruola con l'olio, la cipolla affettata, metà del burro indicato, una foglia di alloro e alcune bacche di ginepro. Date una prima rosolata su fiamma viva, salate e continuate la cottura su fuoco un po' basso. Quando i pezzi di faraona saranno ben dorati da tutte le parti, bagnateli con il cognac e fiammeggiateli, poi portateli a cottura su fuoco ben regolato, aggiungendo quando occorre del brodo per mantenerli morbidi e succulenti. A cottura raggiunta disossateli, tritateli grossolaneamente, passateli al mulinetto, poi unite il fondo di cottura che avrete prima stemperato con un po' di brodo e poi passato. In una terrina mescolate al passato di faraona il burro rimasto, gonfiato a crema con un cucchiaio di legno. Mescolate energicamente e trasferite il tutto in uno stampo unico o in tanti stampini individuali (di entrambi avrete prima gelatinato il fondo). Completate con altra gelatina in superficie e ponete in frigo per almeno 24 ore. Se prevedete che i piccoli patè verranno sformati su un unico piatto, portate in più qualche formella di gelatina che servirà per la decorazione

venerdì 11 settembre 2009

Pasta coi granchi

A Livorno e in tutta la provincia si usano i favolli che sono granchi grossi e di brutto aspetto. I favolli vanno pescati tra gli scogli ed è difficile trovarli in vendita. Nelle pescherie si possono invece trovare granchi di scoglio più piccoli dei favolli, ed è con questi che faccio la salsa per la pasta.
ingredienti:
olio extravergine di oliva; peperoncino; aglio; pomodori pelati g 500; granchi kg 1; penne (o linguine) g 600; finocchio selvatico; burro g 20; prezzemolo; sale; brodo di pesce qb

dosi: 6 persone

tempo: 1 ora circa

provenienza: provincia di Livorno

preparazione:

Fare un soffritto con aglio e peroncino. Mettere i granchi tagliati a metà (devono essere vivi). Quando i granchi saranno diventati rossi, unire i pomodori pelati. Continuare la cottura aggiungendo brodo di pesce (in sostituzione si può usare l'acqua di cottura della pasta) e un po' di finocchio selvatico. La salsa è pronta quando è ben ritirata. A fine cottura unire il burro e cospargere con prezzemolo tritato. La pasta indicata sarebbero le penne, ma vanno bene anche paste lunghe come linguine e spaghetti.

venerdì 20 febbraio 2009

Mar Musa

Paolo Dall’Oglio (Roma, 1954) da ragazzo era un militante di sinistra. Dopo aver lavorato in un cantiere di Fiumicino, scopre la solidarietà operaia. Dopo la laurea, comincia a maturare la sua vocazione e nel 1975 entra nella Compagnia di Gesù.
Nel 1982, da una vecchia guida turistica della Siria, viene a conoscenza dell’esistenza di Mar Musa, monastero abbandonato da molto tempo. Comprende che lì è diretta la sua missione e decide di far risorgere il monastero fondandovi una comunità dove il dialogo tra cristiani e musulmani è quotidianamente e concretamente vissuto.
Mar Musa, monastero dedicato a san Mosè l’Abissino, sorge in mezzo al deserto, in cima a una montagna scoscesa, nei pressi della cittadina di Nebek, in Siria. Abbandonato da due secoli, è stato restaurato grazie alla tenacia di padre Paolo, che vi ha fondato una comunità monastica di rito siriaco.
La sua vicenda, raccolta dalla giornalista francese Guyonne de Montjou, è raccontata nel libro "Mar Musa. Un monastero, un uomo, un deserto".
In monastero accoglie chiunque lo desideri (max 60 posti).

lunedì 16 febbraio 2009

in ricordo di Francesco Franzoi

Il 7 febbraio scorso, Telve e il Lagorai hanno perso uno dei loro migliori presidi umani: Francesco Franzoi, un uomo limpido e profondamente intelligente che aveva trascorso tutta una vita tra pascoli, essenze, latte e transumanze. Da bambina lo ricordo su a Villa San Lorenzo aiutare il mio nonno Clemente a –parar – la pigna. Il nonno a sua volta gli insegnò i molti segreti dell’arte del formaggio.
Più in là negli anni mi avrebbe confessato: “ Sai qual è stato il sogno più grande della mia vita? Poter andar lassù a gestire malga Valpiana “. E il sogno si avvera alla fine degli anni ’90: nell’età in cui normalmente si pensa alla pensione Francesco, insieme alla moglie Angelina e ai suoi animali, parte per malga Valpiana e lì ritrova il proprio ecosistema. Come due pionieri d’altri tempi, sradicano ortiche e farfaracci, accumulano sassi, sistemano scandole, curano i pascoli, ripristinano la sorgente, fanno ripartire la lavorazione del latte crudo, così che dopo un paio d’anni l’anziano barone Augusto Buffa di Castell’Alto mi dirà: “ Ho trovato la persona giusta per la mia malga. E’ Francesco Franzoi. Ora posso pensare seriamente alla ricostruzione.”
Nel 2000, quando fondammo la Libera Associazione Malghesi e Pastori del Lagorai, Francesco
si distinse, da subito, come il più entusiasta sostenitore della necessità di metterci insieme e di organizzarci per salvare il nostro secolare formaggio. Era tra i più anziani del gruppo e pur alzandosi alle 4 e mezza del mattino per mungere, non è mai mancato alle riunioni. Sempre attento, con una infinità di sapienze da trasmettere ai più giovani e quella sua convinzione profetica di come la montagna trentina andasse gestita, convinzione supportata da un esercizio continuo della sua esperienza contadina nella pratica quotidiana. C’era in Francesco un desiderio di trasportare, di traslocare tutti i suoi -io- del passato non come fossili preziosi ma come esperienze immuni dalla caducità, utili ai compiti del presente. Trascorrere un paio d’ore con lui in riunione o camminando insieme dentro per le Maddalene, osservarlo mentre cagliava il latte o sostare nel caserin del formai, il suo regno, era per tutti noi la miglior lezione antropologica. Così che quando dovevamo decidere il tema del calendario annuale e successivamente quello del documentario per la regia di Francesko Baldi, la scelta inevitabilmente cadeva su Francesco Franzoi, presidio rassicurante delle nostre montagne.
In questi ultimi anni il “progresso zootecnico trentino e le sue magnifiche sorti” l’avevano sempre più amareggiato, ma mai sconfitto, mai piegato ad alcun compromesso. Da uomo intelligente aveva capito che la libertà sbatte sempre contro mille ostacoli e che occorre alimentarla con la conoscenza, con la pratica delle relazioni fertili, con la coerenza .
Laura Zanetti

mercoledì 11 febbraio 2009

Addio grande malgaro del Lagorai

Ieri hanno seppellito, a Telve, il malghèro e casèro Francesco Franzoi, 72 anni. Memoria storica del Lagorai. Quell'uomo che al funzionario provinciale che gli spiegava che, per avere gli aiuti europei per la malga, avrebbe dovuto fare il formaggio sul fuoco a gas, rispose: «Fallo tu. Qui siamo in mezzo alla legna. Chi pulisce i boschi altrimenti? E perché pagare un milione di lire di gas con tutta questa legna? Il formaggio poi, viene molto meglio col fuoco di legna».
La chiesa di Telve ieri era gremita, gente in piedi e sul sagrato. Non seppellivano un professore o, chissà, uno che aveva avuto successo fuori casa. Seppellivano un malgaro, un pastore che in vita aveva fatto anche la transumanza delle pecore, Francesco Franzoi. Uno di quelli che, se i sapienti lo avessero ascoltato, ora sarebbe meglio per tutti. Sull'altare il padre francescano di Borgo, Andrea. Molti fiori, bianchi e gialli. Vicino alla bara la moglie di Francesco, quella Angelina Bonadio che l'uomo era andato a prendersi in Calabria, a Platania, figlia come lui di contadini senza terra. Poi i figlioli Mario, Sara, Fiorenza. Il frate va col pensiero alla malga. «Quante volte in montagna, in malga, Francesco avrà scoperto che meraviglia è la creazione, in un fiore, in un filo d'erba». Questo piccolo uomo di Telve, un fascio di muscoli e di nervi, alto un metro e 65, sapeva godere nella natura, viverci in simbiosi.
Francesco Franzoi era l'uomo che portava avanti una delle malghe mitiche del Lagorai, Valpiana, malga privata del baron Buffa. «Ho iniziato ad andare in malga - raccontava - a 10 anni», la famiglia era di mezzadri e anche la sua casa era del barone. Prima di Valpiana lui aveva caricato malghe nel Cadore e in Svizzera e le malghe di Telve, Cagnon e Casalbolenghéta. Ma aveva fatto per anni anche il pastore di pecore e di sé diceva: «Ho le ossa grosse perché mi sono alimentato tanto di latte di capra». Lui, il formaggio aveva imparato a farlo a 10 anni da Clemente Ferrai, altro personaggio della mitologia «casara» di Valsugana. A metà anni '90 ecco Valpiana che il barone, coi contributi europei, ristrutturò. «Io il formaggio - diceva - lo faccio en pochetino più morbiéto e pu grasso». In chiesa il saluto di Laura Zanetti dei Liberi pastori e malghesi del Lagorai: «Senza di te, Francesco, chi penserà alla nostra montagna?».
Lo mettono nella terra Franzoi. Lo salutano Guido Palù, per anni malgaro a Setteselle ed Eugenio Campestrin che lo stesso ha fatto in tutte le malghe del Lagorai, tra cui Trenca e Valsolero. È gente che, come fa Palù con una signora della sua età che gli passa accanto, dice: «Ghe situ 'ncora?». Gente che ha tenuto viva la nostra montagna e prodotto formaggio e burro dal sapore che oggi nessuno più riesce a riprodurre.
Renzo M. Grosselli
l’Adige, 10 febbraio 2009

venerdì 6 febbraio 2009

David Peel

Il Lower East Side (quartiere di Manhattan) negli anni '60 era frequentato da freaks, drogati, allucinati e dissidenti politici. Tra queste vie trovarono terreno fertile le ramificazioni della scena underground e dell'avanguardia pop di Andy Warhol.
David Peel è un figlio di queste strade, un vero freak urbano sempre pronto a lanciare proclami musicali polemici e irriverenti. Accompagnato dai suoi amici barboni, nel 1968 registra dal vivo per le strade di New York il suo album Have A Marijuana che contiene inni da strada come I Like Marijuana, Here Comes A Cop, I've Got Some Grass, Show Me The Way To Get Stoned.
Nel 1972 John Lennon e Yoko producono il suo Pope Smoke Dopes che è ancora più audace e irriverente del primo, ma più che nei suoi (pochi) dischi la musica di Peel aveva il suo sbocco naturale negli happening pubblici effettuati nelle strade della "Grande Mela".
Nella musica di Peel si possono ritrovare echi del folk degli Appalacchi, della musica africana, del blues e altre esperienze del melting pot musicale americano, nonché lo si può considerare uno degli "antenati" del punk-rock del 1977.

venerdì 30 gennaio 2009

British Invasion

Con il termine British Invasion si intende quel fenomeno musicale (e commerciale) per cui alcuni artisti originari del Regno Unito (soprattutto inglesi) iniziarono a fare tourneé negli Stati Uniti, in Australia e Canada e, successivamente, in altri paesi.
Tutto iniziò con i Beatles che, sbarcati negli USA, fecero una storica apparizione all’Ed Sullivan Show nel Febbraio del 1964. Le classifiche americane vengono conquistate da dischi dei Fab Four e il loro successo funge da trampolino di lancio nel nuovo continenti per altri gruppi del beat e del rock inglese come: Rolling Stones, Kinks, Animals, Hollies, Searchers e Troggs.
Una seconda ondata segna la comparsa di gruppi che risentono delle innovazioni musicali di fine anni ’60: Who, Cream, Procol Harum, Yardbirds e Zombies ne sono i principali protagonisti.
La British Invasion ha costituito un clamoroso capovolgimento di flusso. La musica nata in America e che era diventata espressione dei giovani, divenuti a tutti gli effetti un nuovo soggetto sociale, era stata praticamente messa al bando negli Stati Uniti. La stessa musica, "emigrata" in Inghilterra, ritorna nel paese d'origine riveduta e corretta dalle nuove band inglesi.
Ecco un elenco di alcuni gruppi protagonisti della British Invasion:
Freddie & the Dreamers; Gerry & the Pacemakers; Herman's Hermits; Manfred Mann; New Yardbirds; Pink Floyd; Spencer Davies Group; The Animals; The Beatles; The Moody Blues; The Easybeats; The Dave Clark Five;The Dirty Mac; The Hollies; The Kinks; The Rokes; The Rockin' Vickers; The Rolling Stones; The Shadows; The Small Faces; The Tremeloes; The Move; The Warriors; The Who; The Zombies.

mercoledì 28 gennaio 2009

La musica dei monti Appalachi - Old Time Music

Dopo i nativi americani, i primi ad insediarsi nella zona est degli U.S.A. furono coloni e pionieri emigrati dall’Europa, provenienti prevalentemente dalle Isole Britanniche. Questi pionieri si stanziarono nell’area dei monti Appalachi meridionali, situati nell’entroterra della costa atlantica, dove diedero vita a piccole comunità rurali che rimasero sostanzialmente isolate ed indipendenti rispetto ai grandi centri industriali ed urbani almeno sino al XIX secolo inoltrato.
Le musiche e le danze popolari trapiantate dai vari paesi di origine dei pionieri forono rielaborate sulla base delle reciproche influenze ed hanno rivestito una grande importanza per le popolazioni immigrate nella zona dei monti Appalachi. La musica era una delle fondamentali risorse espressive e ricreative condivise e disponibili a tutti i componenti della comunità. Ogni individuo era in grado di suonare almeno uno strumento e i vecchi canti costituivano un patrimonio comune. L’espressione musicale non era concepita dunque come un’attività riservata a professionisti specializzati, quanto come una attività creativa e ri-creativa sia livello comunitario che individuale.
All'inizio si riproduceva e si rielaboravano antiche ballate e songs inglesi – inizialmente eseguite da voce sola e successivamente arricchite dall’accompagnamento di uno o più strumenti – e della musica popolare per violino (fiddle), ovvero dalle fiddle tunes, jigs, reels, hompipes che erano melodie e danze originarie delle isole britanniche. Per un lungo periodo questa regione rimase isolata dal resto dell’America progredita ed industrializzata. Questo isolamento contribuì a preservare fino agli anni ‘20 il patrimonio musicale dei primi pionieri europei tramandando di generazione in generazione, attraverso la tradizione orale, i diversi brani nella loro forma originaria. Dopo, dalla seconda metà del XIX secolo le tradizioni musicali delle comunità rurali sud-appalachiane cominciarono ad incontrare, rielaborare ed assimilare influenze musicali e coreutiche diverse, provenienti da quell’enorme crogiolo di culture e di razze conosciuto con il termine melting pot. Dopo l’abolizione della schiavitù e la conseguente emancipazione degli neri, il contatto con la cultura musicale afro-americana determinò l’assunzione di nuovi strumenti a corda come il banjo e la chitarra che, affiancati al violino popolare, diedero vita alle cosidette string bands, nonché l’introduzione di elementi ritmici, melodici e sonori innovativi.
A seguito delle registrazioni effettuate dalla fine dell'800, dapprima da ricercatori etnico-musicali poi dai primi talent-scout delle case discografiche, questa musica si diffuse nel resto degli Stati Uniti grazie alle radio prendendo il nome di Old Time Music. Nei primi decenni del '900, l’Old Time Music inizio una evoluzione che diede vita a nuovi generi musicali come il Bluegrass negli anni '30, la canzone sindacale negli anni '30 e '40, la Country Music a partire dagli anni '50, fino ad arrivare al Folk Revival, che negli anni '60 mise in luce un giovane autore che da lì inizio la strada che rivoluzionò la musica moderna: Bob Dylan.

sabato 17 gennaio 2009

chitarra resofonica o Dobro

Il volume del suono della chitarra è stato sempre uno dei suoi principali problemi, sopratutto quando doveva suonare insieme ad altri strumenti. In particolare negli anni ruggenti del Jazz tale confronto divenne impari. Diventarono così popolari strumenti alternativi quali il banjo e la chitarra resofonica, più nota col nome del marchio Dobro (acronimo di DOpyera BROthers), dotata di un cono risonante.
La chitarra Dobro nasce negli anni venti ad opera di John Dopyera, emigrante slovacco trasferitisi con i suoi fratelli in California, che inventò un sistema acustico di amplificazione da applicare alle chitarre. Inserì un risonatore metallico nella cassa armonica dello strumento, sostituendo la classica risonanza del corpo vuoto con quella di un sistema meccanico formato da tre coni di alluminio (chitarre tricono). In seguito, anche per questioni di economia costruttiva, fu ideata la chitarra a cono singolo.
Fu utilizzata dai musicisti del cosidetto Delta-blues come Son House e Bukka White. In seguito fu adottata da molti chitarristi rock come Jimmy Page, Rory Gallagher, Mark Knopfler ed Eric Clapton. Una citazione particolare merita il chitarrista americano Bob Brozman che utilizza, oltre quelle moderne, chitarre resofoniche prodotte tra gli anni '20 e '30. Tra i suoi strumenti vi è una versione baritonale della chitarra resofonica a tricono, al cui sviluppo ha attivamente contribuito nella seconda metà degli anni '90.