venerdì 20 febbraio 2009

Mar Musa

Paolo Dall’Oglio (Roma, 1954) da ragazzo era un militante di sinistra. Dopo aver lavorato in un cantiere di Fiumicino, scopre la solidarietà operaia. Dopo la laurea, comincia a maturare la sua vocazione e nel 1975 entra nella Compagnia di Gesù.
Nel 1982, da una vecchia guida turistica della Siria, viene a conoscenza dell’esistenza di Mar Musa, monastero abbandonato da molto tempo. Comprende che lì è diretta la sua missione e decide di far risorgere il monastero fondandovi una comunità dove il dialogo tra cristiani e musulmani è quotidianamente e concretamente vissuto.
Mar Musa, monastero dedicato a san Mosè l’Abissino, sorge in mezzo al deserto, in cima a una montagna scoscesa, nei pressi della cittadina di Nebek, in Siria. Abbandonato da due secoli, è stato restaurato grazie alla tenacia di padre Paolo, che vi ha fondato una comunità monastica di rito siriaco.
La sua vicenda, raccolta dalla giornalista francese Guyonne de Montjou, è raccontata nel libro "Mar Musa. Un monastero, un uomo, un deserto".
In monastero accoglie chiunque lo desideri (max 60 posti).

lunedì 16 febbraio 2009

in ricordo di Francesco Franzoi

Il 7 febbraio scorso, Telve e il Lagorai hanno perso uno dei loro migliori presidi umani: Francesco Franzoi, un uomo limpido e profondamente intelligente che aveva trascorso tutta una vita tra pascoli, essenze, latte e transumanze. Da bambina lo ricordo su a Villa San Lorenzo aiutare il mio nonno Clemente a –parar – la pigna. Il nonno a sua volta gli insegnò i molti segreti dell’arte del formaggio.
Più in là negli anni mi avrebbe confessato: “ Sai qual è stato il sogno più grande della mia vita? Poter andar lassù a gestire malga Valpiana “. E il sogno si avvera alla fine degli anni ’90: nell’età in cui normalmente si pensa alla pensione Francesco, insieme alla moglie Angelina e ai suoi animali, parte per malga Valpiana e lì ritrova il proprio ecosistema. Come due pionieri d’altri tempi, sradicano ortiche e farfaracci, accumulano sassi, sistemano scandole, curano i pascoli, ripristinano la sorgente, fanno ripartire la lavorazione del latte crudo, così che dopo un paio d’anni l’anziano barone Augusto Buffa di Castell’Alto mi dirà: “ Ho trovato la persona giusta per la mia malga. E’ Francesco Franzoi. Ora posso pensare seriamente alla ricostruzione.”
Nel 2000, quando fondammo la Libera Associazione Malghesi e Pastori del Lagorai, Francesco
si distinse, da subito, come il più entusiasta sostenitore della necessità di metterci insieme e di organizzarci per salvare il nostro secolare formaggio. Era tra i più anziani del gruppo e pur alzandosi alle 4 e mezza del mattino per mungere, non è mai mancato alle riunioni. Sempre attento, con una infinità di sapienze da trasmettere ai più giovani e quella sua convinzione profetica di come la montagna trentina andasse gestita, convinzione supportata da un esercizio continuo della sua esperienza contadina nella pratica quotidiana. C’era in Francesco un desiderio di trasportare, di traslocare tutti i suoi -io- del passato non come fossili preziosi ma come esperienze immuni dalla caducità, utili ai compiti del presente. Trascorrere un paio d’ore con lui in riunione o camminando insieme dentro per le Maddalene, osservarlo mentre cagliava il latte o sostare nel caserin del formai, il suo regno, era per tutti noi la miglior lezione antropologica. Così che quando dovevamo decidere il tema del calendario annuale e successivamente quello del documentario per la regia di Francesko Baldi, la scelta inevitabilmente cadeva su Francesco Franzoi, presidio rassicurante delle nostre montagne.
In questi ultimi anni il “progresso zootecnico trentino e le sue magnifiche sorti” l’avevano sempre più amareggiato, ma mai sconfitto, mai piegato ad alcun compromesso. Da uomo intelligente aveva capito che la libertà sbatte sempre contro mille ostacoli e che occorre alimentarla con la conoscenza, con la pratica delle relazioni fertili, con la coerenza .
Laura Zanetti

mercoledì 11 febbraio 2009

Addio grande malgaro del Lagorai

Ieri hanno seppellito, a Telve, il malghèro e casèro Francesco Franzoi, 72 anni. Memoria storica del Lagorai. Quell'uomo che al funzionario provinciale che gli spiegava che, per avere gli aiuti europei per la malga, avrebbe dovuto fare il formaggio sul fuoco a gas, rispose: «Fallo tu. Qui siamo in mezzo alla legna. Chi pulisce i boschi altrimenti? E perché pagare un milione di lire di gas con tutta questa legna? Il formaggio poi, viene molto meglio col fuoco di legna».
La chiesa di Telve ieri era gremita, gente in piedi e sul sagrato. Non seppellivano un professore o, chissà, uno che aveva avuto successo fuori casa. Seppellivano un malgaro, un pastore che in vita aveva fatto anche la transumanza delle pecore, Francesco Franzoi. Uno di quelli che, se i sapienti lo avessero ascoltato, ora sarebbe meglio per tutti. Sull'altare il padre francescano di Borgo, Andrea. Molti fiori, bianchi e gialli. Vicino alla bara la moglie di Francesco, quella Angelina Bonadio che l'uomo era andato a prendersi in Calabria, a Platania, figlia come lui di contadini senza terra. Poi i figlioli Mario, Sara, Fiorenza. Il frate va col pensiero alla malga. «Quante volte in montagna, in malga, Francesco avrà scoperto che meraviglia è la creazione, in un fiore, in un filo d'erba». Questo piccolo uomo di Telve, un fascio di muscoli e di nervi, alto un metro e 65, sapeva godere nella natura, viverci in simbiosi.
Francesco Franzoi era l'uomo che portava avanti una delle malghe mitiche del Lagorai, Valpiana, malga privata del baron Buffa. «Ho iniziato ad andare in malga - raccontava - a 10 anni», la famiglia era di mezzadri e anche la sua casa era del barone. Prima di Valpiana lui aveva caricato malghe nel Cadore e in Svizzera e le malghe di Telve, Cagnon e Casalbolenghéta. Ma aveva fatto per anni anche il pastore di pecore e di sé diceva: «Ho le ossa grosse perché mi sono alimentato tanto di latte di capra». Lui, il formaggio aveva imparato a farlo a 10 anni da Clemente Ferrai, altro personaggio della mitologia «casara» di Valsugana. A metà anni '90 ecco Valpiana che il barone, coi contributi europei, ristrutturò. «Io il formaggio - diceva - lo faccio en pochetino più morbiéto e pu grasso». In chiesa il saluto di Laura Zanetti dei Liberi pastori e malghesi del Lagorai: «Senza di te, Francesco, chi penserà alla nostra montagna?».
Lo mettono nella terra Franzoi. Lo salutano Guido Palù, per anni malgaro a Setteselle ed Eugenio Campestrin che lo stesso ha fatto in tutte le malghe del Lagorai, tra cui Trenca e Valsolero. È gente che, come fa Palù con una signora della sua età che gli passa accanto, dice: «Ghe situ 'ncora?». Gente che ha tenuto viva la nostra montagna e prodotto formaggio e burro dal sapore che oggi nessuno più riesce a riprodurre.
Renzo M. Grosselli
l’Adige, 10 febbraio 2009

venerdì 6 febbraio 2009

David Peel

Il Lower East Side (quartiere di Manhattan) negli anni '60 era frequentato da freaks, drogati, allucinati e dissidenti politici. Tra queste vie trovarono terreno fertile le ramificazioni della scena underground e dell'avanguardia pop di Andy Warhol.
David Peel è un figlio di queste strade, un vero freak urbano sempre pronto a lanciare proclami musicali polemici e irriverenti. Accompagnato dai suoi amici barboni, nel 1968 registra dal vivo per le strade di New York il suo album Have A Marijuana che contiene inni da strada come I Like Marijuana, Here Comes A Cop, I've Got Some Grass, Show Me The Way To Get Stoned.
Nel 1972 John Lennon e Yoko producono il suo Pope Smoke Dopes che è ancora più audace e irriverente del primo, ma più che nei suoi (pochi) dischi la musica di Peel aveva il suo sbocco naturale negli happening pubblici effettuati nelle strade della "Grande Mela".
Nella musica di Peel si possono ritrovare echi del folk degli Appalacchi, della musica africana, del blues e altre esperienze del melting pot musicale americano, nonché lo si può considerare uno degli "antenati" del punk-rock del 1977.