lunedì 22 novembre 2010

L'illusionista - omaggio a Jacques Tati

L'illusionista è un film scritto da Jacques Tati alla fine degli anni '50 sconvolti dall'arrivo del rock'n'roll. Sarebbe dovuto essere il quarto lungometraggio del grande cineasta francese (dopo Giorno di festa, Le vacanze di Monsieur Hulot e Mon Oncle), ma non fu mai realizzato forse perché lo stesso Tati lo riteneva troppo autobiografico. La figlia Sophie Tatischeff, alla quale il lavoro è dedicato, prima di morire individua in Sylvain Chomet la persona giusta per mettere in scena la storia del triste declino del music-hall , spettacolo non più al passo dei tempi, e dei suoi protagonisti. In particolare quella di un illusionista che non riesce più a incantare le platee dei teatri, ma diventa l'eroe di una povera e giovane ragazza scozzese. Nasce così questo film di animazione in cui rivive il personaggio di Tati, disegnato con i suoi lineamenti e presentato con il vero nome del regista francese: Jacques Tatisceff.
La storia è forse un po' troppo malinconica, ma il film è fatto con garbo e grande rispetto per l'arte di Tati con soluzioni registiche decisamente filologiche. Chomet apporta qualche variazione alla sceneggiatura originale come l'ambientazione trasportata da Praga a Edimburgo. Da apprezzare la scelta di alternare alla maggioranza dei disegni fatti a mano quelli in digitale, tecnica usata esclusivamente per gli sfondi e i grandi affreschi.
Titolo originale: L'illusionniste
Paese: Francia, Regno Unito
Anno: 2010
Durata: 90 min
Regia: Sylvain Chomet
Sceneggiatura: Jacques Tati, Sylvain Chomet
Produzione: Django Films Illusionist, Ciné B, France 3 Cinéma

domenica 7 novembre 2010

"Passione", un'occasione perduta

Ieri ho visto il film Passione di John Turturro al cinema Fiamma di Roma. Prima di tutto due parole sul locale. Oltre alla pessima organizzazione, ci sono stati venduti due biglietti relativi a posti laterali situati ben al di fuori dello schermo con una visione pertanto distorta. Inoltre la proiezione è stata costantemente disturbata dal forte rumore del proiettore. Invito a non andare nelle sale cinematografiche tipo questa, interessate solo a vendere più biglietti possibili a scapito della qualità.
Il film vuole raccontare Napoli attraverso la sua musica, progetto sempre interessante anche se poco originale. Il problema è che Turturro non racconta un bel niente, perdendosi in stereotipi da turista americano che trova tutto "molto pittoresco" e inserendo qualche immancabile immagine descrittiva del degrado cittadino per dare la solita nota di colore. Il film è un noioso e stucchevole mix di pubblicità alla Dolce e Gabbana, videoclip musicali e documentari alla History Channel. Se l'intento è quello di presentare la canzone napoletana a chi non la conosce (sopratutto in America), il risultato è ampiamente mancato e il neofita si farà una idea confusa e distorta. Se ricordo bene Turturro nel film parla di una città colorata di suoni. Questo sarebbe stato un'ottimo spunto narrativo, ma Turturro si perde in immagini più adatte a pubblicizzare profumi e biancheria intima.
L'aspetto decisamente interessante del lavoro è invece la riproposizione di alcuni capolavori musicali dal repertorio della canzone napoletana in una veste talvolta inedita e aggiornata. Chi, come me e la maggioranza del pubblico italiano, già conosce questi capolavori ha potuto apprezzare anche le proposte più innovative dove la musica evoca sensi e sentimenti di questa città dalle tante anime e culture. In particolare la versione di Peppe Barra della Tammurriata nera ha strappato l'applauso a scena aperta e da sola vale tutto il film, ma anche gli altri interpreti hanno fornito prove spesso di straordinaria intensità e bellezza. Il film si apre con la voce di Mina e si chiude con quella di Pino Daniele. Oltre il già citato Peppe Barra, vediamo esibirsi Spakka-Neapolis 55, Avion Travel, Misia, Pietra Montecorvino, Massimo Ranieri, Lina Sastri, M’Barka Ben Taleb, Angela Luce, Raiz, Fausto Cigliano, Fiorello, Fiorenza Calogero e Enzo Avitabile.

mercoledì 3 novembre 2010

Cristiani in Iraq

Il recente massacro avvenuto a Baghdad nella chiesa siro-cattolica di Nostra Signora della Salvezza ripropone il dramma dei cristiani in Iraq che, dopo la guerra voluta da Bush, vengono sistematicamente perseguitati e uccisi da fanatici religiosi o da delinquenti comuni. Qualche anno fa avevo elaborato un progetto per un documentario dal titolo Cristiani in Iraq. Il documentario non si riuscì a organizzare e adesso desidero pubblicare parte del materiale che avevo scritto a suo tempo e che, purtroppo, è ancora attuale.
La storia dei cristiani iracheni risale alla predicazione dell’apostolo Tommaso, ritenuto il fondatore del cristianesimo in Iraq. Le comunità cristiane più numerose si trovano a Baghdad, nelle città nel nord del Paese (Kirkuk, Irbil e Mosul), nonché nell’antica Ninive.
I cristiani in Iraq sono il 3% della popolazione e appartengono a diversi riti: assiro nestoriano, siro-cattolico e i siro-ortodosso. Di numero più ridotto sono gli armeni ortodossi. I cristiani hanno sempre avuto buone relazioni con la maggioranza musulmana nel Paese e in passato non si erano mai verificati episodi di violenza, discriminazione o intolleranza a livello sociale.
Durante l’ultimo conflitto in Iraq molti cristiani iracheni si sono rifugiati all’estero attendendo gli sviluppi della situazione con la speranza di rientrare in patria. Dopo la caduta del regime baathista, sono iniziate le violenze ai danni della comunità cristiana: donne assassinate per strada, uomini rapiti nelle loro case, parroci che continuano a ricevere minacce e intimidazioni telefoniche.
All’inizio si pensava che la tragica situazione del paese portasse ogni iracheno a desiderare un posto più sicuro e il patriarca caldeo Emmanuel III Delly assicurava che non si poteva parlare di una diaspora per la comunità cristiana locale. Molti cristiani sceglievano di andare al nord del paese nei loro villaggi d’origine, dove alcuni avevano ancora una casa o dei parenti. Partivano da Baghdad o da Bassora e si trattenevano per due settimane o un mese, aspettando che nelle loro città scendesse la tensione per poi ritornare e riprendere a lavorare. Altri cercavano riparo in Giordania, Turchia, Libano, oppure raggiungevano i parenti negli Usa e in Europa, ma senza chiedere asilo politico, cosa che avrebbe implicato l’impossibilità di tornare al paese di origine.
La situazione è andata sempre più peggiorando e nel 2007 si è avuta un’escalation di minacce, rapimenti, intimidazioni e assassini. Una delle città più colpite è Mosul, roccaforte sunnita, dove le famiglie cristiane rimaste subiscono minacce fisiche, sequestri di persona a scopo di lucro, nonché intimidazioni telefoniche in cui si chiede loro di pagare un contributo alla resistenza (sunnita), pena la vita. La comunità ogni volta è costretta a raccogliere somme ingenti che vanno a pesare su una situazione economica già ai limiti; per di più, senza avere la certezza di rivedere in vita i propri cari.
Nel mirino ci sono anche le chiese dove i parroci locali vivono sotto continua minaccia. A questo si aggiungono le difficoltà materiali: insicurezza nelle strade, mancanza di elettricità e di carburante, il freddo.
A causa di questa situazione il Patriarcato caldeo ha trasferito in Kurdistan il Babel College e il Seminario maggiore di San Pietro.
Nella provincia di Niniveh si teme che il prossimo bersaglio potrebbero essere proprio i villaggi cristiani della Piana, dove è del tutto assente la presenza ed il controllo delle forze statunitensi ed irachene.
Tra la crescente insicurezza e precarietà la decimata comunità cristiana continua a pregare per la pace, spesso in luoghi sotterranei e nascosti come i primi cristiani. Lo hanno fatto anche in occasione della Solennità dell’Assunta nella chiesa di Kirkuk gremita di fedeli caldei, dove l’arcivescovo mons. Louis Sako, ha celebrato la messa in occasione della festa, molto importante per la Chiesa caldea.
Seppure in dimensioni diverse, il dramma dei cristiani iracheni è lo stesso vissuto dai sunniti e dai curdi, come pure della maggioranza sciita. Le violenze settarie non cessano, come gli attentati alle moschee.